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Marcello Meroi
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- Sposetti nel corso dell'ultima conferenza stampa tenuta dal gruppo Pd al comune di Viterbo ha affermato, con toni che il cronista definisce “soft” e che seppur assai rari, come dimostrano le quotidiane esternazioni di molti volti noti sempre in cerca di visibilità mediatica, sono caratteristica di ogni politico di qualità, che si porrebbe il problema, per gli amministratori oggetto di indagine da parte della Corte dei conti, di “un passo indietro”.
Autonomo, libero, segno di sensibilità.
Il capogruppo dell'opposizione in comune è politico troppo navigato e intelligente da aver capito che si può usare un argomento certo delicatissimo e di grande impatto verso i cittadini come quello attuale, come un grimaldello che attraverso il richiamo alla semplice “tranquillità del lavoro degli amministratori” di fatto sia l'unico strumento con il quale tentare di scardinare un assetto politico assolutamente stabile e inattaccabile in sede elettorale.
In poche parole e con tutte le debite differenze del caso, il sistema è un po' quello che viene attualmente utilizzato nei confronti del premier: davanti alle inchieste sarebbe meglio dimettersi e aspettare il giudizio della magistratura.
Stesso principio dovrebbe però valere per gli amministratori della Regione Puglia, della Regione Campania, per quelli del comune di Napoli, per quelli del comune di Salerno.
Non credo che nel caso viterbese sia il caso di scomodare il principio costituzionale della assoluta innocenza degli imputati, tra le altre cose nello specifico solo ed esclusivamente indagati (che mi pare di ricordare qualcuno citò in passato in occasione di una vicenda, per la verità di gravità del tutto diversa, relativa a qualche altro comune della provincia), per ribadire l'assoluta sproporzione di una richiesta di dimissioni.
Ma se si volesse arrivare a una valutazione giuridica di tale portata, credo che Sposetti sarebbe d'accordo con me nel respingere con la massima forza il principio dipietrista e giustizialista, che identifica indagine con colpevolezza, avviso di garanzia con sentenza di condanna, quando oggetto di tali atti siano amministratori di enti locali o politici in genere.
Un metodo che forse ha fatto la fortuna attuale quanto effimera di qualche poco specchiato capo popolo nazionale, ma che va decisamente respinto da chi creda in uno stato di diritto che anche la politica, sia pure con tutti i suoi gravissimi e insopportabili difetti, certamente merita di vedere applicato.
Immagino che il leader dell'opposizione locale possa controbattere che lui non stia chiedendo un gesto derivante dall'esame delle carte, ma solo una decisione che si fondi su una considerazione di “opportunità politica”.
Sarebbe comunque una scelta dettata da un “pre-giudizio” e come tale, in nome di quel principio più volte richiamato, un utilizzo fuorviante di valutazioni e strumenti demandati ad altri organi per ottenere quello che attraverso la politica, quella vera, non si riesce a raggiungere.
Marcello Meroi
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