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Arrivano i rom - Il corsivo di Meroi
Mettono paura per ragioni di sicurezza
di Marcello Meroi
Viterbo - 19 gennaio 2009 - ore 1,30

Marcello Meroi
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- “Gli zingari fanno paura, sono guardati con sospetto e diffidenza, quando se ne vede girare uno sui bus o nei negozi tutti si tengono le mani ben strette sul portafoglio per paura di essere derubati”.
Come dar torto, onestamente, a quanto scriveva ieri Amerigo Mascarucci su un giornale locale?

Non serve uno studio sociologico sugli orientamenti dei cittadini per poter rendersi conto che tale considerazione è fatta dalla quasi totalità degli Italiani, di destra o di sinistra, nordisti o sudisti, ricchi e poveri.

Non volerlo ammettere, opponendo a questa tesi la solita finta e pelosa solidarietà, non rende certo più credibile chi contesta tale realtà.

Ma perché i Rom fanno paura, perché la gente è così restia ad accettare la loro integrazione?

Questa è la domanda alla quale è necessario dare una risposta seria.
Paura per motivi di sicurezza.
Perché troppi sono stati i casi, molti anche al centro delle cronache nazionali, nei quali protagonisti degli atti di violenza sono stati i Rom.

Qui il razzismo non c’entra nulla, l’ideologia ancora meno. Il vero problema è che la gente non si sente sicura, soprattutto nelle grandi città, anche per la presenza delle migliaia di nomadi che vivono certamente ai margini della legge.

La sinistra alimenta troppa confusione su questo tema, cercando di far passare l’equazione che chi non è per l’integrazione, per la comprensione della cultura nomade, per l’inserimento nei tessuti sociali locali del Rom è portatore di disvalore, di bieca ideologia, si pone in contrasto con il principio cristiano della solidarietà.

Con queste sciocchezze Veltroni e soci hanno perduto prima le politiche e poi la città di Roma, non riuscendo ad interpretare la vera richiesta dei cittadini che era principalmente il bisogno di sicurezza.

Non si deve contestare, sia chiaro, la legittima aspettativa ed il successivo diritto di qualsiasi soggetto di muoversi liberamente all’interno della Comunità Europea; non ci si può oppone all’ingresso dei tanti rifugiati per motivi realmente politici, che chiedono asilo; è necessario dare aiuto a tutti coloro che cercano in Italia una nazione dove trasferirsi, dove cercare lavoro, dove portare la propria famiglia ed i propri interessi.

Ma a una condizione, che deve essere chiarissima ed irrinunciabile: porte aperte a tutti coloro che in condizione disagiate cerchino e soprattutto vogliano integrarsi onestamente, rispettando le nostre leggi e la nostra cultura.

Porte chiuse, anzi sbarrate, a coloro che credono di potersi impunemente creare in Italia quegli spazi di marginalità fuori dalle regole, continuando ad esportare non la validità e la ricchezza delle proprie culture e tradizioni, ma la vita fatta di espedienti, di clandestinità, di rifiuto dell’accettazione delle regole.

E’ questo un principio irrinunciabile posto a tutela di tutti e sul quale lo Stato non può derogare.

Sono anni che in Italia si parla molto della legge Bossi - Fini, ritenuta a sinistra la madre di tutte le infamie legislative dei governi Berlusconi contro gli immigrati.
Ma molti di coloro che vorrebbero cancellata tale disposizione, fanno finta di non capire, per mera demagogia ideologica e populista, una oggettiva verità.

Integrazione vuol dire offrire a chi viene in Italia condizioni di vita dignitose, posti di lavoro anche di basso profilo, ma decorosi (chi può disconoscere l’onesto lavoro, per lo più sottopagato, dei tanti extracomunitari nelle campagne del sud Italia?), assistenza degna di tale nome.

Per fare questo bisogna porre dei limiti, stanziare cifre che possano soddisfare tali necessità, porre regole a cui attenersi.

Il generico richiamo solidaristico è la solita bandiera agitata da coloro che non riescono a conciliare le loro utopie con la realtà e le immani questioni che questo problema oggi rappresenta.

Per ciò che concerne i Rom proprio questo sembra essere il passaggio più difficile, perché troppo ambigua pare essere la posizione di molti di loro, indisponibili a volersi integrare, a voler comprendere le nostre regole, a voler rispettare la nostra cultura.

Gianni Alemanno pone oggi il problema che Walter Veltroni poneva ieri.

La risposta non può essere diversa a seconda di chi propone la stessa domanda.

Pare impensabile oggi, in mancanza di chiarezza sui numeri, sulla localizzazione, sulla composizione, sulle reali intenzioni di tali gruppi, dare una risposta affermativa.

Non per razzismo od opinione politica, che nell’approccio al problema sono del tutto ininfluenti.

Solo per realismo, onestà intellettuale, capacità di ragionare fuori dalle ideologie.

Chi crede il contrario, richiamandosi sempre ed in ogni contesto al concetto di democrazia, potrà sempre ricorrere ad un referendum tra i propri concittadini per capire come la pensino.

Marcello Meroi

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