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Viterbo - Il corsivo di Marcello Meroi
Ma che c'è di politico in questa violenza?
di Marcello Meroi
Viterbo - 29 settembre 2008 - ore 0,30

Marcello Meroi
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- Carlo Galeotti mi invita questa settimana a esprimere un parere sugli episodi di violenza che purtroppo da qualche mese si sono verificati a Viterbo e credo che attenda da me anche un’interpretazione sulla valenza politica degli stessi.

Con grande chiarezza voglio affermare che trovo grandissima difficoltà a identificare tali episodi con un marchio definibile come “politico”, sempre che alla politica, quella vera, si voglia ancora dare un significato minimamente profondo.

Viterbo non è mai stata una città violenta, anche negli anni bui dei cosiddetti “opposti estremismi”, terminologia coniata all’epoca nel tentativo, purtroppo riuscito, di emarginare politicamente tutti coloro che lottavano, anche pacificamente, contro il sempre cosiddetto “Sistema”.

Volava sì, negli anni ’70, per il Corso o a Pianoscarano, qualche schiaffone, si vedevano spintoni e insulti reciproci nel corso dei volantinaggi davanti alle scuole, si arrivava ai “furti” di secchi e manifesti degli avversari, ma la violenza stupida e gratuita che oggi si manifesta, non apparteneva al nostro modo di essere, alle regole della nostra politica.

C’era la voglia di marcare il territorio, di ritenere questo o quel quartiere, questa o quella piazza, spazio politico di riferimento, ma l’aggressione fine a se stessa era metodo che non apparteneva a quei ragazzi, fossero dell’una o dell’altra parte politica.

Proprio per questo reputo abbastanza superficiale ed in verità improprio, dare agli episodi che hanno ferito la nostra città un marchio politico.

Non basta, infatti, attribuire tale collegamento alla semplice militanza dei protagonisti (identificati come esponenti di opposte fazioni), non basta spiegare che quegli episodi siano espressioni di lotta politica solo perché gli avversari sono notoriamente facenti parte di organizzazioni politiche alternative.

Dove è l’aspetto “politico” della violenza, dove è il suo eventuale riferimento culturale, ideologico, movimentista, strategico?

Ovviamente ribadisco che non intendo certo legittimare la violenza se connessa a motivazioni ideologico-politiche, né ritengo che il ricorso a metodi di questo tipo possa, in alcun modo o circostanza, essere giustificato.

Per uno che come me fa politica da tanti anni - qualcuno direbbe troppi... -, che ricorda la passione, la voglia di alternativa, il sentirsi parte di una Comunità militante, (concetti certamente comuni ai nostri avversari politici del tempo), l’accostamento o meglio la motivazione “politica” data alle odierne violenze è inaccettabile.

Qui la politica, almeno quella vera, seria, fatta di impegno e presenza, mi pare francamente assente, lontana e del tutto impalpabile.

Proprio per questo il problema è grave e la soluzione ancor più complicata.

Al di là degli interventi inerenti la sicurezza, l’ordine pubblico e tutto quello che ne consegue, questo riaffacciarsi di episodi preoccupanti nella loro ottusa ripetitività, merita un’attenta riflessione.

Anche su questo non mi vorrei ripetere, ma le istituzioni debbono fare di più: più educazione civica nelle scuole, più attenzione al dialogo e al coinvolgimento dei ragazzi su temi “forti”, più spazi da offrire loro nelle città: culturali, sportivi, musicali, di incontro.

Oltre una decina di anni fa, per evitare l’imbrattamento dei muri di Viterbo, si decise di individuare spazi dedicati ai giovani, dove si potesse dare libero sfogo alla loro creatività. Forse un modo banale, ma certo diverso, di dialogare con loro, di tentare di interpretarne qualche piccolo bisogno.

Comunicare, offrire stimoli, rendere i giovani partecipi.

Un impegno gravosissimo in tutti i sensi anche per le amministrazioni locali, ma una scelta da inserire tra quelle prioritarie: una strada certamente da percorrere per non cadere in una spirale che dobbiamo cercare di interrompere immediatamente.

Marcello Meroi

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