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Marcello Meroi
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- Poco da dire: di generale lo sciopero dell’altro giorno ha avuto solo il flop.
Pochi manifestanti in tutta Italia, pochissimi a Viterbo, al di là dei dati trionfalistici che scorrono, tra filmati a campo stretto e ombrelli aperti, sul sito ufficiale della Cgil.
Tutta la stampa nazionale, anche quella più vicina alla sinistra, ha obiettivamente denunciato il fallimento della giornata di sciopero e in particolar modo l’inopportunità della scelta fatta.
E non è stato solo il maltempo ha far ottenere un così misero risultato alla manifestazione.
L’azione sindacale della maggiore confederazione italiana ha da tempo il fiato cortissimo.
Appiattita sul monocorde tema dell’attacco “comunque e dovunque” al governo, l’esercito di Epifani sta ormai subendo sonore sconfitte su più fronti: su quello movimentista, che continua ad assottigliarsi in considerazione di una protesta su tutto e in ogni circostanza, che certamente fa perdere consenso alle manifestazioni ormai inflazionate e meramente ritualistiche, ma soprattutto su quello politico.
La Cgil si è di fatto isolata. Cisl e Uil, da sempre sue compagne di strada in tutte le decennali battaglie sindacali, ormai hanno abbandonato il velleitarismo e da tempo dichiarano la propria disponibilità al dialogo con l’Esecutivo.
Mentre la Cgil protesta e non incide, le altre rappresentanze sindacali non solo dialogano sui tavoli ministeriali, ma addirittura firmano importanti contratti di categoria.
E lo schizofrenico comportamento tenuto sulla vicenda Alitalia la dice lunga sulle difficoltà oggettive a mantenere il consenso.
E’ indubbio che anche i lavoratori, che da anni si sentivano rappresentati dal più grande sindacato della sinistra, ora comincino a riflettere sull’effettiva capacità di mediazione e sulla reale potenzialità nell’incidere sulle scelte strategiche di maggiore respiro del loro sindacato.
Ma il fatto più grave, riportato anche oggi dai più importanti quotidiani nazionali, è quello relativo ai giudizi pesantissimi che gli altri leaders hanno dato delle scelte del loro collega Epifani.
“Resa dei conti a sinistra”, “Voglia di defilarsi del Pd”, “Grandi manovre interne alla Cgil” erano i titoli che analizzavano impietosamente non solo uno sciopero che da generale è diventato poco più che particolare, ma lo stato di salute e le scelte isolazioniste del sindacato che fu di Di Vittorio.
In un moderno sistema democratico, fondato sul dialogo tra le forze politico-parlamentari, il governo e il sindacato, nessuno può augurarsi che quest’ultimo marci diviso.
La forza e l’unità dei lavoratori sono comunque caratteristiche positive di una proficua azione a difesa dei loro diritti.
La frammentazione delle sigle, ma soprattutto la divisione interna al mondo del lavoro, crea problemi di rapporti, di incidenza reale, di forza della categoria. E questa, comunque la si pensi, non è una condizione apprezzabile.
Per evitare questo, però, la Cgil dovrebbe rivedere molte delle sue ultime prese di posizione.
Difendere i lavoratori non può voler dire solo essere perennemente contrari a ogni scelta fatta da Esecutivi o Amministrazioni di diversa ispirazione politica, ma superare quelle divisioni certamente ricomponibili, dando così un reale e fattivo contributo alla soluzione di uno stato di crisi purtroppo oggi di natura sovranazionale.
Il dialogo è l’arte della buona politica, ma credo lo sia anche del buon sindacalismo.
Trovo francamente fuori dalla logica e soprattutto dalla realtà, quegli interventi di rappresentanti dei lavoratori che si esprimono ancor oggi con termini da lotta di classe, da scontro con i padroni, vecchi retaggi di un tempo lontano e che ci auguriamo non torni più.
Un sindacato forte, non connivente né asservito al potere politico, in un mondo del lavoro “socializzato”, in cui il lavoratore fosse veramente partecipe diretto della gestione e degli utili dell’azienda, renderebbe migliore lo stato di milioni di persone, più forte il Sistema Italia e, perchè no, riqualificherebbe anche il livello della politica.
Un peccato non provarci.
Marcello Meroi
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