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La nascita del Pdl - Ora la prova sul territorio
Qualcosa è cambiato davvero...
di Marcello Meroi
Viterbo - 30 marzo 2009 - ore 12,13

Marcello Meroi
- Con la nascita del partito del “Popolo della Libertà” si è compiuto un grande progetto che viene da lontano, che ha unito culture diverse, che ha saputo sapientemente miscelare storie politiche e personali spesso distanti, che ha semplificato il quadro politico nazionale, che ha realizzato un sogno che fu prima di Giorgio Almirante e più recentemente di Pinuccio Tatarella, quel “Ministro dell'Armonia” che oggi avrebbe meritato più di ogni altro di vedere alla luce la sua creatura.

Nasce in Italia il più grande partito del dopoguerra, che si pone come primo obiettivo quello di divenire ancora più grande.

Nato da quella che Fini, chiudendo così definitivamente una lunga polemica, ha definito una “lucida follia” di Berlusconi, il PdL si troverà sin da domani a doversi organizzare sul territorio, non certo da un lato militante e partecipativo che ben già rappresenta, ma certamente da quello organizzativo e gestionale.

E proprio a livello locale si vedrà subito quanto sarà importante affidare la guida del nuovo soggetto politico non più a scelte correntizie e frazionistiche, ma a condivise impostazioni, progetti comuni, finalità unitarie.

Il nuovo partito si gioca la sua prima carta importante proprio sulla sua capacità di uscire da logiche che tutti i leader intervenuti in questa lunga settimana di congressi, hanno definito non più auspicabili e soprattutto non più rinnovabili.

Credo che la capacità politica dei tanti dirigenti locali di An, di FI, dei Popolari- Liberali, saprà superare qualche incomprensione e riuscirà a creare in tutta Italia tante strutture politiche autorevoli che promuoveranno al meglio la grande potenzialità politica di questo partito di centro – destra in cui milioni di Italiani si riconoscono.

Quella di ieri, per chi la ha vissuta, è stata certamente una giornata da ricordare.

Vedere sullo stesso palco Tremaglia e Rotondi, Servello e Formigoni, quegli esponenti di una generazione che non si arrese insieme ai portatori di istanze laiche o liberali, uniti non più da una strategia, ma da un unico soggetto portatore di valori comuni, è stato certamente motivo di grande riflessione e di positiva valutazione.

Ma ancora più coinvolgente è stato vedere quella “base”, quelle migliaia di donne e di uomini venuti da ogni parte d'Italia, spesso diversi nella loro provenienza sociale oltre che politica, scattare in piedi tutti insieme davanti alle immagini dei nostri soldati in missione nel mondo e nelle strade della penisola, davanti ai più belli scorci del nostro Paese, davanti ai nostri padri storici, nelle tante categorie del lavoro, della produzione, della cultura, della scienza, che hanno fatto grande l'Italia.

Un comune sentire, una forza interiore, uno spirito che, mai come oggi ci è apparso così forte e deciso e che ci ha fatto capire, speriamo definitivamente, come insieme si possa mandare un segnale concreto di reale speranza in un momento di difficile crisi globale.

Quando scorrevano quei momenti della nostra storia, tantissimi, soprattutto tra coloro che hanno fatto della politica una scelta di vita, hanno sentito rivivere anni di impegno, di militanza, di volantini, di colla e pennello, di scontri a volte non solo verbali e soprattutto di grandi passioni.

Ma sui loro volti non c'era più quello smarrimento che tanti avevano provato a Fiuggi. Segno di una grande maturazione, ma soprattutto della consapevolezza di aver fatto una scelta giusta, di non aver cancellato una parte di noi stessi, ma di averla messa a disposizione di un grande progetto per il futuro, con profonde radici del passato.

E chi, come me, al momento dell'arrivo sul palco di Berlusconi, accompagnato dal sottofondo di “Meno male che Silvio c'è”, ha visto tornare alla mente altri ingressi congressuali sulle note dell'”Inno a Roma”, questa volta non ha pianto, ma ha capito realmente che qualcosa oggi è cambiato davvero.

Marcello Meroi

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