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Marcello Meroi
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- Non c'è campagna elettorale nella quale qualche fiero democratico non alzi il proprio grido per avvertirci che l'Italia è un Paese a rischio, guidato da una sorta di dittatorello fautore del pensiero unico, con la libertà di informazione in grave pericolo.
In realtà la libertà non è per nulla compressa, tanto meno quella dell'informazione, essendo l'Italia un luogo dove la televisione cosiddetta “di Stato”, quella cioè pagata con i soldi di tutti i cittadini, può beatamente dare del pedofilo al Presidente del Consiglio, del mafioso al Presidente del Senato, sbeffeggiare i Ministri uomini, mettendo in serio dubbio la virtù dei ministri donne.
Strana la tesi di una compressione della libera circolazione delle idee, quella in un Paese dove la carta stampata passa dall'amplificazione delle richieste di divorzio di lady Veronica alla pubblicazione ormai quotidiana di migliaia di pagine di verbali di interrogatorio redatti il giorno prima in decine di Procure.
La verità è che qualcuno ancora non riesce a farsi una ragione del successo di Berlusconi e del PdL.
La concezione elitaria di una certa sinistra, che ritiene di detenere la verità e di essere l'unico soggetto oggettivamente legittimato a governare, produce una sorta di rigetto interno della realtà ed impedisce di analizzare seriamente il perché di una sconfitta politica che ha raggiunto livelli drammatici.
I soloni di questa intellighenzia ritengono di fatto gli Italiani un branco di dementi, preda di messaggi subliminali che le Tv del biscione emettono tra uno spot e l'altro, tra un reality ed una parata di veline.
La PdL supera il 50% ed il suo presidente ha gradimenti da record?
Purtroppo l'italiano beota è divenuto la vittima inconsapevole delle rotondità di Belen che lo hanno distratto dalle stuzzicanti considerazioni della Bindi, si è perduto nella casa del Grande Fratello e sull'Isola dei Famosi invece di sorbettarsi un bel dibattito tra Franceschini e La Russa, si è entusiasmato più ad una magìa di Zlatan che ad una tribuna con Diliberto.
Popolo ingrato, incolto, incapace di cogliere i giusti stimoli ed ormai abbrutito da quel diavolo di un miliardario, guida di una Destra rappresentata come sinonimo di intolleranza, soprattutto alle critiche.
Ecco allora la strategia che mira ad annientare l'informazione.
Si è cominciato con il famoso “editto” con il quale il prode Silvio ha tentato di cancellare un artista purissimo che risponde al nome di Luttazzi (il “vate” che in diretta su Rai3, con splendido pathos, si esibì tra un'annusata agli slip appena sfilati di Anna Falchi e quella di una fumante cacca); che ha censurato quel mitico libero pensatore che è Fabio Fazio (che prima di tornare sulla rete pubblica trasformata in passerella di ogni “straordinario personaggio” in circolazione, ovviamente sempre di sinistra, ha goduto di un risarcimento miliardario all'atto della sua prima risoluzione contrattuale certo non gestita dal turpe Silvio).
Ma nulla è più grave del tentativo di chiudere la bocca ad un'icona del giornalismo quale Enzo Biagi, a dimostrazione di un potre cinico, sprezzante, violento con gli oppositori.
Ma nessuno ricorda le migliaia di libri pubblicati dalla casa editrice della famiglia Berlusconi che danno voce (e danaro) a tanti avversari politici del leader e della sua coalizione, le tante trasmissioni delle reti Fininvest ( Le Iene, Zelig, Mai dire Tv) praticamente incentrate sulla satira contro il Presidente del Consiglio.
Oppure la terribile censura inflitta ad Anno Zero, Ballarò, Che tempo che fa, Blob, a tutti i servizi giornalistici di Rai3, alla fascia mattutina quotidiana di Radio2, ai coniugi Daria Bignardi e Luca Sofri (il cui unico merito di condurre una trasmissione in radio è quello di avere un certo cognome) ed ai tanti, tantissimi giornalisti e non, in servizio permanente contro l'uomo di Arcore e tutto quello che a lui si richiami.
Come scriveva molto opportunamente Vittorio Feltri sul fondo di Libero di sabato scorso, è semplicemente ridicolo credere ad una informazione libera. Ma non per improponibili censure. Solo perché ogni testata giornalistica ha il suo “editore di riferimento”, al quale deve rispondere in termini soprattutto economici. E questo accade con qualsiasi strumento, televisivo o giornalistico, grande o piccolo, nazionale o locale.
Feltri si augurava soltanto che la sua categoria, lui compreso, riuscisse a scrivere “meno cazzate”.
Un'affermazione dura, ruvida, ma certamente efficace per far capire, da vero giornalista, che se l'informazione non è libera, chi volesse andare a cercarne la responsabilità in Berlusconi e nel suo schieramento, non avrebbe certo accolto il suo appello...
Marcello Meroi
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