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Marcello Meroi
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- Gli ultimi gravissimi episodi di violenza sessuale hanno purtroppo dimostrato che sul tema sicurezza ed in particolare su quello relativo alla violenza sulle donne, c’è ancora molto da fare.
C’è da diffondere più valori, c’è da ampliare la cultura del rispetto, c’è da sostenere con la massima decisione possibile la certezza della pena, c’è da applicarla inflessibilmente.
Ma soprattutto bisogna dare dimostrazione che su questi episodi, su brutalità di tale tipo, non ci possono essere sconti per nessuno.
Ed invece, ancora una volta, un giudice di questa Repubblica, ha pensato bene di concedere gli arresti domiciliari a chi si è reso colpevole della violenza a una ventenne, valutando come “meritevole” il comportamento del reo e la sua disponibilità a collaborare con la giustizia.
Certamente avrà attentamente citato norme, commi, interpretazioni procedurali e giurisprudenziali a sostegno della sua scelta, probabilmente avvalorando tale interpretazione con “vuoti legislativi”, impossibilità di applicare giudizi diversi, precedenti pronunce al riguardo.
E subito qualche politico, alleato dei giustizialisti a orologeria, ma in questo caso garantista dell’ultima ora, ha provveduto a criticare blandamente il magistrato, giustificando la sua decisione proprio con tali motivazioni.
Il provvedimento adottato dal giudice Marina Finiti non è, come ha detto il sindaco di Roma Alemanno soltanto un segnale sbagliato: è assolutamente inaccettabile.
Lo è in termini giuridici, perché con altrettanto sostenibili motivazioni si sarebbe potuto associare in carcere il colpevole, privandolo di assistenza di parenti, colloqui con amici, televisione, comodo letto e colazione servita.
Ma lo è ancora di più in termini sociali, non potendosi negare l’importanza deterrente che un diverso messaggio, attraverso una pronuncia giudiziale, avrebbe avuto in un caso di questo tipo.
La giudice che ha operato questa scelta è la stessa che ha comminato dieci anni di carcere per “omicidio volontario e dolo eventuale” a carico di colui che, drogato ed ubriaco, uccise a Roma due fidanzati travolgendoli sul loro motorino.
Lo stupratore comodamente riaccompagnato a casa dopo 24 ore, si legge dai giornali, avrebbe dichiarato di essere stato anch’egli in preda ad alcool e droga.
Dove è allora la differenza, dove è la diversa valutazione delle condizioni del reo al momento del fatto, dove è la logica di un provvedimento tanto aberrante?
Anche questa è una pseudo cultura che va combattuta. Per reati così odiosi, per comportamenti tanto barbari quanto estranei alla società civile, è obbligo delle istituzioni agire con la massima fermezza possibile, senza tentennamenti, con comportamenti che dicano con chiarezza che chi si macchia di tali brutalità, potrà certamente pentirsi, redimersi, recuperare la propria dignità perduta, ma dopo aver pagato i propri errori.
Certo gli organi dello Stato, da quelli di polizia agli amministrativi, dovranno ulteriormente riflettere ed organizzare ancor meglio il controllo del territorio e il Parlamento dovrà sanzionare lo stalking al pari delle molestie.
Ma tutto ciò non basterà se non verrà spazzato definitivamente via questo pessimo dilagare del perdonismo verso tutti, della mano tesa anche a chi non la merita affatto, dell’interpretazione delle norme sempre più a favore di Caino e sempre meno a difesa di Abele.
La solidarietà di tutti va oggi alla povera ragazza romana che certo non potrà mai dimenticare un fine anno della sua giovinezza e con lei alle tante vittime di una delle più inaccettabili violenze verso la persona.
In questo momento avrebbe dovuto avere anche e soprattutto la vicinanza delle istituzioni, custodi dei principi di civiltà.
Così purtroppo non è stato e l’abuso è stato subito una seconda volta.
Marcello Meroi
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