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Arnaldo Sassi
caporedattore Messaggero |
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- Ho letto il corsivo del mio amico Marcello Meroi sulla libertà di stampa e, pur nel rispetto delle sue opinioni, mi permetto di dissentire fortemente dalle sue considerazioni in quanto, da semplice cittadino - ma anche da addetto ai lavori ormai da 35 anni – ritengo che la realtà sia profondamente diversa.
E che nel Paese sia in atto un’involuzione culturale sui criteri fondamentali della democrazia, la quale – sono sincero – non so dove potrà portarci, visto che alla concezione della politica come solidarismo e come servizio alla collettività s’è ormai sostituita quella delle lobby e del mors tua vita mea, come dicevano i latini.
In questo quadro generale purtroppo, la libertà di stampa è diventata sempre più “libertà molto vigilata”, anche se molti specchietti per le allodole spingono in tanti, Meroi compreso, a pensare il contrario.
Cercherò quindi di citare dati oggettivi per dimostrarlo:
1 – Tutta la stampa italiana (e questo lo ammette anche Meroi) è in mano a editori impuri, che hanno cioè interessi economici di altro tipo oltre a quelli editoriali. Ciò fa sì che chi lavora per quelle testate sia giocoforza condizionato dalla proprietà sui temi che la interessano particolarmente o sulla vicinanza politica o meno del proprio editore.
2 – La televisione è composta da un anomalissimo duopolio (in quale altro Stato civile esiste?) tutto in mano ai partiti dove, quando vince le elezioni il centrosinistra il rapporto è di 4-2 e quando vince il centrodestra è di 5-1, ovviamente sempre a favore di quest’ultimo.
Unica eccezione è rappresentata da “La7” (a mio avviso molto ben fatta e vero esempio di informazione al di sopra delle parti), la quale è però schiacciata dai due giganti Rai e Mediaset e resta una televisione di nicchia. Corollario: la legge del suo amico Gasparri, invece di riportare un minimo di equilibrio, è servita soltanto a mantenere intatta questa situazione, aggirando addirittura una sentenza dell’Europa che aveva decretato il trasferimento di Retequattro sul satellite.
3 – Il nuovo contratto nazionale di lavoro dei giornalisti, firmato alla fine di aprile, peggiora – e di molto - le condizioni di lavoro, soprattutto dal punto di vista normativo e delle garanzie di libertà di chi scrive sui giornali. Basti pensare che oggi gli editori possono distaccare singoli giornalisti per due anni in un’altra testata del gruppo, anche senza il loro consenso.
Esempio: il mio editore Francesco Gaetano Caltagirone (proprietario del Messaggero di Roma, del Mattino di Napoli, del Quotidiano di Lecce e del Gazzettino di Venezia) può tranquillamente spostare – a suo insindacabile giudizio – un redattore da Roma a Lecce o da Napoli a Venezia sic et simpliciter, senza alcuna spiegazione plausibile.
Nell’analisi di quanto sta avvenendo in questo Paese non possono essere prese in considerazione le star dell’informazione, quelle che hanno un nome famoso e che talvolta riescono anche a spuntarla (vedi Santoro), ma tutte quelle migliaia di giornalisti anonimi – tantissimi dei quali con contratti di lavoro a tempo determinato – che hanno un solo mezzo per poter sbarcare il lunario: attaccare l’asino dove vuole il padrone. Altrimenti sono fuori.
Ma, dato che la vera libertà di stampa in questo momento non fa comodo a nessuno (opposizione compresa), si preferisce ignorare il problema o analizzare solo la punta dell’iceberg, senza scoprire quello che c’è sotto. In una società – va sottolineato – dove i diritti sono sempre minori, dove ci si sta abituando ad essere precari per tutta la vita, dove si tende sempre più a difendere a denti stretti il proprio orticello, fregandosene di quello degli altri, dove chi vince prende tutto e chi perde deve giustamente morire.
In tutto ciò, un merito particolare ce l’ha proprio Silvio Berlusconi, che è riuscito a cambiare il comune sentire di questo Paese e quindi è giustamente al massimo del consenso in tutti i sondaggi. Recentemente sono andato per alcuni giorni a Napoli per una gita e, in un ristorante, mi sono imbattuto in un piccolo imprenditore del luogo, che decantava le grandi capacità del presidente del Consiglio.
Quando ho obiettato che dal punto di vista etico dava adito a molti dubbi, lui mi ha risposto. “A me non importa quello che fa lui. Perché lo fa fare pure a me”.
Per tornare alla libertà di stampa, detto che la ricetta giusta è difficilissima da trovare, basterebbe però copiare dagli Stati Uniti (spesso citati solo quando fa comodo), dove c’è un antitrust che funziona davvero e dove le regole (che devono valere per tutti) si rispettano. Ma noi siamo italiani e adesso ci piace “l’uomo solo al comando”.
A Meroi, che gioisce giustamente per il largo consenso di cui gode Berlusconi (di cui il Pdl è figlio e che lui in questo momento sta trascinando), vorrei però fornire una piccola citazione storica che potrebbe anche essere profetica: negli anni ’30 l’Italia era totalmente fascista, ma nel ’45 tutti erano diventati partigiani. Già, noi siamo italiani…
Arnaldo Sassi
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