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Arnaldo Sassi
caporedattore Messaggero |
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- Dico subito che non mi è piaciuta affatto la puntata di “Annozero” che il “chiacchieratissimo” Michele Santoro ha dedicato giovedì scorso alla guerra tra Israele e Palestina. Ma che mi è piaciuto ancor meno (e mi preoccupa molto) ciò che è accaduto dopo.
Ovverosia la gazzarra di critiche che gli sono piovute addosso soprattutto dalla politica per aver confezionato una trasmissione faziosa (e in effetti lo era).
Perché, mi chiederete? Il concetto non è facile da spiegare, ma bisogna partire da un presupposto: ovverosia che l’obiettività non è un punto fermo, ma un traguardo mobile da raggiungere; che il giudizio di merito su questo criterio andrebbe comunque espresso da un “giudice terzo” e non da uomini che anch’essi sono di parte (visto che appartengono a vari partiti, lo dice la parola stessa); che infine, tali giudizi dovrebbero riguardare l’intero panorama dell’informazione e non una singola trasmissione o testata.
Tutto questo in Italia non esiste ed è impossibile da realizzare, visto il sistema mediatico esistente.
A livello televisivo c’è un anomalo duopolio, dove la Rai – servizio pubblico – è comunque in concorrenza diretta col privato Mediaset, sia sul piano degli ascolti che su quello della raccolta pubblicitaria. Nella carta stampata gli editori dei maggiori quotidiani sono tutti “impuri”, ovvero sono imprenditori che, avendo ben altri interessi economici, sono anche proprietari di giornali.
Cominciamo dalla televisione (trascurando il fatto, tutt’altro che trascurabile, che il proprietario di uno dei due colossi televisivi è anche presidente del Consiglio): il nodo sta nel fatto che in pratica non esiste il libero mercato perché la politica non lo ha mai voluto far nascere.
La Rai è sempre stata e continua a essere sotto il diretto controllo dei partiti (già sono cominciate le grandi manovre di arruffianamento in vista del cambio dei direttori dei Tg); in alternativa c’è solo ed esclusivamente Mediaset che – al di là dell’evidente conflitto di interessi – è nelle mani di una sola persona.
Poi più nulla, se si fa eccezione per La7, alternativa qualitativamente valida ma mai decollata più di tanto sempre per volontà della politica. In questo quadro parlare di libertà di stampa è un eufemismo.
E se qualcuno, come Santoro appunto, si azzarda a fare il “cavallo pazzo” (e in effetti lo è), viene subito triturato.
Ora invece, stabilito che Santoro è “fazioso” e volendo seguire il fil rouge dell’informazione obiettiva, bisognerebbe prendere in considerazione tutto ciò che viene ammannito attraverso il piccolo schermo. Un solo esempio: che dire allora del Tg4 di Emilio Fede? Ma questo ragionamento è sbagliato. Fede deve continuare a esistere, come deve continuare a esistere Santoro.
Eliminarne uno o tutti e due sarebbe un rischio per la democrazia. Deve essere il pubblico, e solo il pubblico, a stabilire – col proprio gradimento – chi ha più filo da tessere. Il libero mercato è stato inventato per questo.
La stessa cosa vale per la carta stampata, ormai sottomessa quasi totalmente agli interessi degli editori impuri. E dove si devono rispettare le logiche del proprietario. Di conseguenza, i direttori (con poche eccezioni) sono ormai veri e propri ostaggi.
Figuriamoci le redazioni, dove tra l’altro la situazione sta peggiorando di giorno in giorno con l’arrivo del lavoro a tempo determinato (chi si può azzardare a scrivere un articolo che può compromettergli il rinnovo di un contratto con cui deve campare?).
I giornali, di conseguenza, sono tutti – chi più chi meno – faziosi. Nel senso che forniscono al lettore l’ottica di riferimento del proprio editore.
Il bello è – anche in questo caso – che quando si alzano le grida di faziosità da parte della politica, a farlo è sempre un esponente della fazione opposta, il quale ovviamente non gradisce quanto scritto dal giornale o dal giornalista che sta dall’altra parte.
Sono disposto a tagliarmi un dito della mano quando sentirò un politico di destra dare pubblicamente del fazioso a un giornale di destra, o viceversa.
Se andiamo a vedere la nostra piccola realtà viterbese, accade la stessa cosa. Ma il fatto che a Viterbo oggi ci siano ben cinque quotidiani è un bene e non un male.
Ognuno dica ciò che vuole (ovviamente nel rispetto delle regole): sarà poi il mercato a stabilire che è più credibile e chi meno, perché la gente non è affatto stupida e sa discernere.
Ma la politica, prima di accusare di faziosità questo o quel giornalista, si faccia un bell’esame di coscienza e stabilisca un minimo di regole sull’informazione.
Per avere un bel salto di qualità basterebbe copiare dagli Stati Uniti d’America. Invece qui sembra di essere nel Burundi (con tutto il rispetto).
Arnaldo Sassi
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