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Viterbo - La stanza di Sassi
Marini butta la polvere sotto il tappeto...
di Arnaldo Sassi
Viterbo - 25 settembre 2008 - ore 0,30

Arnaldo Sassi
caporedattore Messaggero
- Vorrei prendere spunto dal “pacchetto educazione” emanato dal sindaco Giulio Marini e dalla conseguente delibera che – se approvata – dovrebbe vietare dopo le 22 la vendita della pizza al taglio e dei cornetti caldi per fare, alcune riflessioni – visto che l'amico Carlo Galeotti me ne dà l'opportunità, avendomi invitato a scrivere di tanto in tanto il mio pensiero su questo giornale – su questa società del terzo millennio che, lo dico senza mezzi termini, mi piace sempre meno.

Perché sia nel comune sentire della gente, che in quello dei politici che la rappresentano, si notano sempre meno quei valori solidaristici e collettivistici che hanno accompagnato la mia gioventù.

Negli anni '70, quand'ero ventenne, i giovani anelavano tutti, al di là delle loro idee politiche, ad avere una società più giusta, più equa, più solidale con gli altri, più coesa nel suo insieme, nella speranza – forse utopica – di costruire un mondo migliore di quello che c'era in quel momento.

In compenso di valori ne sono decollati altri: quelli dell'egoismo, dell'interesse particolare, del non disturbare il manovratore, di fronte ai quali diventa difficile combattere e di fronte ai quali, mi par di vedere, la stessa Chiesa sia in qualche modo in difficoltà.

Prendiamo dunque il “pacchetto educazione” di Giulio Marini. Assomiglia tanto a quella massaia che, avendo il salone pieno di polvere, prende la scopa e getta tutto sotto il tappeto, in modo che la stanza sembri pulita.

Barboni, mendicanti, lavavetri e via discorrendo a Viterbo si contavano sulle dita di una mano e non costituivano certo un'emergenza. Ma il vento nazionale tira da quella parte e quindi era necessario adeguarsi, senza peraltro preoccuparsi delle possibili conseguenze (cosa molto opportunamente sottolineata nei giorni scorsi da monsignor Salvatore Del Ciuco sul Messaggero).

Di più: dato che certi punti vendita notturni possono essere motivo di disturbo per qualcuno, si istituisce il coprifuoco (vero assessore Muroni?), dimenticandosi completamente che Viterbo sta lentamente diventando città universitaria.

E agli universitari (molti dei quali vengono letteralmente “spennati” dai viterbesi proprietari di case con affitti rigorosamente in nero per catapecchie più o meno rimesse in sesto) non possiamo oltretutto chiedere di andare a dormire alle dieci di sera.

Oppure il Comune (e l'assessore Muroni in particolare, visto che l'uomo brilla per il suo acume) abbia il coraggio civile di dire che l'università viterbese può tranquillamente andare a farsi benedire.

Il problema tuttavia è molto più complesso e riguarda il fatto che la società che ci circonda sta cambiando. E che noi facciamo fatica ad adeguarci a una realtà del tutto nuova. C'è un fastidio verso gli estranei, verso i diversi, verso coloro che non sono uniformati ai costumi del perbenismo (spesso falso) che avanza. Prendiamo la paura della gente (giustificata) per i furti nelle case. Se andiamo a vedere le statistiche, osserviamo che non sono aumentati rispetto al passato.

Anzi, in molti casi sono diminuiti. Ma ne sono cambiati gli autori, prima connazionali, oggi per lo più immigrati. E questo ha aumentato la paura.

La gente quindi chiede tolleranza zero sulla microcriminalità e i politici cavalcano la tigre (il centrodestra a Roma ci ha vinto le elezioni). Il problema è che di fronte a reati molto più gravi (prendiamo la corruzione o la concussione, ad esempio, che spesso riguardano purtroppo gli stessi politici) il comune sentire è diverso: lì scatta l'iper-garantismo e la comprensione per chi è imputato, nonché il vituperio per chi accusa, a cominciare dalla magistratura.

Non credo ci sia una ricetta per tornare al buon senso e alla ragionevolezza. E in un mondo dove le risorse cominciano a scarseggiare (e in futuro ce ne saranno sempre meno) i sentimenti egoistici sono destinati ad aumentare. Mors tua, vita mea, dicevano i latini.

Con la conseguenza che a rimetterci saranno – la storia lo insegna – sempre i più deboli.

Se n'è accorta anche la Chiesa, visto che il cardinal Bagnasco ha sentito il bisogno di sottolineare che “gli immigrati sono nostri fratelli”.

Ma con scarse possibilità di essere ascoltato.

Oggi purtroppo, il cristianesimo di molti finisce quando si esce dalla chiesa al termine della messa domenicale.
Ma possiamo rassegnarci a lasciare una simile eredità ai nostri figli?

Arnaldo Sassi

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