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Arnaldo Sassi
caporedattore Messaggero |
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- “L’unica cosa veramente certa della vita è che nessuno può uscirne vivo” è la pillola di saggezza dispensata da Paul Newman, l’attore americano scomparso sabato scorso dopo una vita di grandi successi.
Un adagio al quale si potrebbe replicare che “la vita va però vissuta fino in fondo, magari nel miglior modo possibile”.
Il problema è sapere quale sia questo “miglior modo possibile”, ma questo attiene alle scelte dei singoli.
C’è però anche una questione di vivibilità collettiva su cui spesso ci si scontra anche ferocemente e che dimostra una volta di più come la società attuale sia spesso e volentieri schizofrenica e vada più dietro agli umori del momento, piuttosto che a un sano razionalismo.
Qualche esempio, banale ma non troppo: nei giorni scorsi s’è registrata l’ennesima protesta per un’antenna telefonica impiantata a piazzale Romiti.
Ora, a prescindere che andranno eseguite tutte le verifiche per stabilire se i parametri di sicurezza siano o no rispettati, non si può però non sottolineare come ancora una volta la psicosi della massa su certi fattori porti a clamorose contraddizioni: in ogni famiglia oggi ci sono una decina di telefonini, ma guai a istallare un ripetitore vicino casa.
Come se i cellulari potessero funzionare per grazia divina, e non perché le onde elettromagnetiche vengono rimbalzate, tramite le antenne, da un punto all’altro dell’etere.
Stesso discorso vale per le discariche, o per le fonti di energia (basti vedere cosa sta accadendo a Tarquinia con la centrale a carbone di Civitavecchia), o per lo smog emesso dalle auto.
Insomma, semplificando un po’, spesso nel comune sentire della gente si accolgono con favore le comodità del progresso (esempio: quando manca l’energia elettrica per pochi minuti smoccoliamo tutti), ma si rifiutano a priori le controindicazioni che le stesse comportano, soprattutto se questo avviene nei pressi della propria porta di casa.
Tutto ciò è contraddittorio, a meno che uno non decida di vivere facendo a meno di quello che oggi il progresso offre; ma nessuno – nella realtà dei fatti – sarebbe diposto a farlo. E quando gli amministratori si trovano a dover decidere sull’istallazione di una nuova antenna telefonica, piuttosto che sulla realizzazione di un termocombustore o di una centrale elettrica (a carbone, a gas, a biomasse, perfino eolica, poco importa) son dolori.
La lunga premessa era necessaria per affrontare l’argomento aeroporto, visto soprattutto alla luce di quanto avvenuto in città negli ultimi giorni. Ovverosia del disturbo notturno della quiete pubblica e dei provvedimenti che il Comune ha preso (o aveva intenzione di prendere) per limitarlo.
Disturbo, va ricordato, generato da un paio d’esercizi che dispensano cibi dal tramonto all’alba e che attirano quei quattro tiratardi, per lo più bollati dai più come poco di buono.
Infatti, la prima versione (poi modificata) della delibera ideata dall’assessore Paolo Muroni era stata in qualche modo sollecitata da alcuni abitanti di piazzale Gramsci e di via della Palazzina, disturbati dal quel continuo andirivieni dei mangiatori notturni, che arrivano davanti ai negozi col motore acceso, sbattono le portiere, parlano ad alta voce, impedendo così il sonno ristoratore.
Tutto giusto, da un certo punto di vista, anche se i provvedimenti potevano risolvere (in maniera parziale) i problemi di quello spicchio di città, lasciandone aperti altri, visto che da alcuni anni Viterbo è anche diventata città universitaria. E gli universitari a letto presto non ci vanno proprio.
Nessuno però s’è posto fino a oggi il problema di come sarà Viterbo fra tre anni, ammesso che una volta tanto i politici riescano a mantenere le loro promesse.
Perché nel 2011 dovrebbe cominciare a funzionare un aeroporto da 8 milioni di passeggeri l’anno. In città c’è ovviamente grande attesa per l’evento, considerato un’occasione unica e irripetibile per lo sviluppo del territorio. E questo è vero.
Ma nessuno ha provato a immaginare come diventerà la Viterbo aeroportuale. Otto milioni di passeggeri l’anno (se sono vere le stime fatte) sono circa 22 mila passeggeri a giorno (il pubblico di una stadio per una partita di serie A). Che arrivano, si spostano, mangiano, bevono, devono adempiere alle loro necessità fisiche, parlano, magari qualcuno urla o schiamazza, salgono sui mezzi di trasporto che devono condurli altrove, oppure si fermano a visitare la città andando a cena in qualche ristorante decidendo di trascorrere una notte nel capoluogo, e così via.
Bene: 22 mila passeggeri al giorno sono un’altra città che si aggiungerà a quella già esistente. Altro che il rumore di una trentina di nottambuli.
L’aeroporto cambierà fondamentalmente usi e costumi dei viterbesi. I quali, di fronte a questa nuova situazione, avranno due sole scelte: adattarsi o emigrare.
Oltretutto c’è un'altra questione che è stata finora sottovalutata da tutti: a Ciampino si smobilita un aeroporto che è dentro la città, a Viterbo se ne realizza uno tutto nuovo ad appena tre chilometri da quartieri come Pilastro, Palazzina, Villanova.
Sarà “a impatto zero”, come afferma trionfalisticamente l’assessore Giovanni Bartoletti?
O gli aerei che decollano e atterrano faranno tremare i vetri delle finestre di un quarto di città? Chi ha certezze in tasca risponda a un quesito che appare tutt’altro che strumentale.
Narra la leggenda metropolitana che agli inizi del ‘900 la ferrovia veloce Roma- Firenze fu fatta passare a Orte e non a Viterbo perché gli agrari temevano che il rumore dei convogli avrebbe spaventato le mandrie.
Oggi i viterbesi si trovano ancora una volta a dover decidere se mantenere la propria aurea tranquillità o aprirsi al progresso, con tutte le controindicazioni che la cosa comporta. Decidano, ma lo facciano in fretta.
Arnaldo Sassi
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