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Arnaldo Sassi
caporedattore Messaggero |
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- Questa settimana parliamo di sport.
Alla luce della situazione drammatica in cui si trova la squadra di basket femminile della Virtus - Gescom, il cui presidente Mario Lega (imitando il conte Francesco Marini Dettina, presidente di una Roma squattrinata, che nel gennaio ’65 organizzò una colletta al teatro Sistina per ripianare i debiti della società giallorossa) sta disperatamente cercando da qualche parte un po’ di soldi per portare a termine il campionato di serie A/1. E intanto ha già cominciato a smobilitare la squadra.
Qualcuno può forse sorprendersi di questa situazione?
O forse la stessa non è altro che il riproporsi di un ricorso storico già vissuto in tempi passati più o meno remoti dallo sport viterbese?
La verità è che questo nuovo episodio è purtroppo l’ennesima cartina di tornasole dell’aurea mediocritas in cui da sempre vive il capoluogo della Tuscia un po’ in tutti i settori e che non risparmia nemmeno l’attività sportiva, quando la stessa tenta di uscire dal dilettantismo.
I miei ricordi personali di ragazzo appassionato di calcio tornano agli anni ’70 e alla compagine messa in piedi da Enrico Rocchi, un costruttore romano che si innamorò della Tuscia e della Viterbese, facendole vivere una stupenda stagione di fasti e di successi.
Ma, insieme alle vittorie sul campo, ricordo anche quelle assemblee con i tifosi al teatro dell’Unione, quando il patron urlava che da solo non ce la faceva a tirare avanti e chiedeva la partecipazione di forze (ovviamente economiche) che in qualche modo potessero supportarlo.
Tutti sappiamo come andò a finire. Rocchi (che post mortem ha avuto la consolazione di vedersi intitolato lo stadio di via della Palazzina) alla fine dovette alzare bandiera bianca tra l’indifferenza dei più ed ebbe pesanti conseguenze economiche anche sul piano personale.
Negli anni ’80, col calcio che vivacchiava nelle categorie dilettantistiche sempre alla ricerca di soldi, nacque la stupenda favola della Sisv di Enzo Colonna, team capace di raggiungere gli apici del basket femminile, sia a livello nazionale che europeo.
Ma anche in questo caso, agli sforzi di un singolo, innamorato di Viterbo e dello sport, non fece seguito un supporto del sistema territoriale che potesse in qualche modo sostenere quell’intrapresa; sicché alla fine anche Colonna dovette arrendersi.
Essendo ancora vivo e vegeto (anzi, gode di ottima salute), nessuno ha ancora pensato di intitolargli nulla, ma sicuramente anche lui andrà annoverato (il più tardi possibile) tra gli eroi che hanno tentato invano di elevare il livello dello sport viterbese, rimettendoci (eccome) di tasca propria.
E veniamo ai tempi più recenti, quando – a cavallo tra la fine del secondo e l’inizio del terzo millennio – la Tuscia ha conosciuto l’ubriacatura dei mecenati che venivano da lontano.
Luciano Gaucci prima, Fabrizio Capucci poi, hanno senza dubbio fatto vivere a Viterbo e alla Viterbese alcune stagioni sopra le righe, che proprio per questo non potevano durare a lungo.
Per due semplici motivi: che la Befana non esiste e che nella vita nessuno fa niente per niente. Il primo, dopo aver fatto parlare di Viterbo in tutto il mondo (grazie alla nomina come trainer di Carolina Morace, prima donna ad allenare una squadra prof), abbandonò tutto quando si rese conto che non c’era trippa per gatti; il secondo invece, si fece prendere la mano dall’entusiasmo e finì nel tritacarne del clan Moggi.
Alla fine di questo amaro excursus, che dire della situazione della Virtus - Gescom e di Mario Lega? Che tutto era già scritto e che lo sport professionistico non potrà mai abitare a Viterbo, finché questa città e questo territorio non saranno in grado di fare, con le proprie gambe e senza l’aiuto di altri, quel salto di qualità necessario in questo settore come in altri.
Finché i viterbesi non cominceranno a pensare al futuro e non continueranno invece a crogiolarsi nel passato.
Arnaldo Sassi
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