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Il sottoscala di Sassi
Viterbo - Il sottoscala di Sassi
Sono un coglione
di Arnaldo Sassi
Viterbo - 14 novembre 2008 - ore 1,30
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Sono un coglione
di Arnaldo Sassi
Viterbo - 14 novembre 2008 - ore 1,30

Arnaldo Sassi
caporedattore Messaggero
- Sono un coglione. E rimango in fiduciosa attesa che il presidente del Consiglio in persona, il cavalier Silvio Berlusconi, mi consegni la laurea (possibilmente ad honorem).

Sono un coglione e lo dichiaro apertamente, perché sono uno di quei milioni di cittadini (non solo italiani) rimasti disgustati da quella battuta sull’abbronzatura del neo presidente Usa Barak Obama che a me non è piaciuta affatto. Non mi ha fatto neanche sorridere.

Anzi, se proprio vogliamo dirla tutta, mi ha dato l’idea che nascondesse nel capo del governo italiano un minimo di stizza per una vittoria poco gradita.

Sono un coglione, caro signor, anzi dottor, Berlusconi. Perché ritengo che più responsabilità si hanno e più bisognerebbe pesare le parole.

Glielo dice uno che con nomi, verbi e aggettivi ci lavora da oltre trent’anni e che ha ormai imparato bene come – se nell’ufficialità si esce dai binari – si possano combinare anche guai seri.

Figuriamoci lei, che di responsabilità ne ha un milione più di me, e forse più.

Sono un coglione perché, nonostante sia quasi arrivato al traguardo dei sessant’anni, ritengo ancora che la politica dovrebbe essere una cosa seria e che dovrebbe occuparsi del benessere delle persone; che chi governa dovrebbe unire e non dividere, e soprattutto evitare di sbeffeggiare costantemente chi non la pensa come lui.

Sono un coglione, perché ho ammirato il discorso di John Mc Cain subito dopo la sconfitta, soprattutto quando ha sottolineato che da quel momento in poi Barack Obama sarebbe stato anche il suo presidente; e mi sono ricordato di tutto quello che lei disse nella primavera 2006, dopo aver perso le elezioni politiche, quando per mesi gridò ai brogli. E ho fatto il confronto.

Sono un coglione, signor presidente del Consiglio, perché sono andato a vedere su internet i commenti alla sua in felicissima battuta. Non quelli degli italiani, ma quelli degli statunitensi, sul sito del New York Times. E ho scoperto che ci danno dei mafiosi.

Sono un coglione perché ritengo che un capo del governo, terminata la campagna elettorale, dovrebbe rappresentare la nazione intera e non solo una parte. Dovrebbe saper parlare con moderazione, ma avere anche la capacità di ascoltare. E avere più rispetto per tutti.

Sono un coglione perché amo il mio Paese e provo tanta amarezza quando vado all’estero e la gente comune mi fa la risatina ironica se dico che sono italiano.

Forse perché anche all’estero certe cose non le capiscono. O forse perché il mondo – a mia insaputa – si è riempito di comunisti.

Sono un coglione perché quando incontro un extracomunitario davanti al supermercato mentre vende le sue cianfrusaglie provo un profondo senso di compassione. E mi tornano in mente ricordi della mia infanzia e adolescenza, allorché conobbi alcuni parenti di mia madre che anni prima erano partiti per l’America con la valigia di cartone e le scarpe rotte e lì erano riusciti a costruirsi una vita decente.

Sono un coglione perché penso che ognuno di noi potrebbe fare qualcosa per chi sta peggio, senza grossi sacrifici.

Sono un coglione perché, seguendo questo mio credo, che poi è anche il credo del Vangelo (ama il prossimo tuo come te stesso) anni or sono decisi di adottare un bimbo biolerusso che oggi è diventato grande, vive con la mia famiglia e avrà – spero – una vita migliore di quella che avrebbe potuto avere. E la cosa mi fa profondamente felice.

Per tutti questi motivi, caro signor presidente del Consiglio, sono un coglione. E aspetto con ansia la consegna della laurea. Ma nella lista degli imbecilli no. Lì non mi ci iscrivo. Anzi.

Mi verrebbe da risponderle riprendendo la battuta di un grandissimo attore comico come Totò. Ma mi astengo.

Per il profondo rispetto che ho per le istituzioni e soprattutto per la mia Patria.

Arnaldo Sassi

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