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L'alambicco di Antoniozzi
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Il luogo dei sogni
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 6 novembre 2008 - ore 2,15
Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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di Alfonso Antoniozzi
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di Alfonso Antoniozzi
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
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di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 25 settembre 2008 - ore 0,30
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Viterbo - L'alambicco di Antoniozzi
Il luogo dei sogni
di Alfonso Antoniozzi
Viterbo - 6 novembre 2008 - ore 2,15

Il cantante lirico
Alfonso Antoniozzi

- Anni fa mi è capitato di visitare Firenze insieme a un mio amico americano il quale, avendo i piedi fortemente piantati in una cultura abituata alle cose pratiche, di fronte al campanile di Giotto mi ha chiesto a cosa servisse.

Io, piuttosto stupito dal fatto che l'unica domanda che gli saltava in mente di fronte a tanta bellezza fosse quella, gli ho risposto che serviva a suonare le campane e lui, candido, disse:"non mi stupisce che il vostro Paese vada a rotoli... tutto questo spreco di materiale per suonare due campane!". 

La verità è che un pizzico di tanta pratica semplicità riecheggia nella domanda che viene spesso rivolta a noi teatranti: a cosa serve il vostro mestiere?

Effettivamente, in una società abituata a misurare il valore delle cose dalla loro produttività, il teatro serve a pochino.

Perfino ora, in un momento in cui la sopravvivenza dello spettacolo dal vivo viene messa annualmente in discussione dai tagli al Fondo Unico dello Spettacolo (decisi in maniera bipartisan da qualsiasi governo si avvicendi alla guida del Paese) l'unico modo per essere ascoltati da chi ci governa è giocare la carta della disoccupazione e sottolineare che se i teatri dovessero chiudere molte persone finirebbero in mezzo a una strada.

Ma, perdonatemi, io mi ostino a credere che la reale valenza del teatro non risieda nel numero di giornate lavorative versate alla cassa ENPALS (la nostra INPS) o nella macchina produttiva teatrale capace di impiegare un tot di persone che altrimenti sarebbero senza lavoro. 

Credo invece che il teatro debba sopravvivere perché il teatro è la sola isola felice rimasta dove l'unico valore assoluto è una coserella che da bambini abbiamo tutti e che, in età adulta, la maggior parte della gente impara a chiudere a doppia mandata nel cassetto insieme ai propri sogni: la fantasia.

Per noi teatranti tutto è possibile: che una macchia di luce blu sia un lago, che quattro pezzi di legno siano un balcone, che un pezzo di vetro sia un diamante.

E, quando non ci sono soldi per realizzare le nostre idee, la fantasia corre in nostro aiuto e allora ci vengono in mente altre idee che costino meno, e che siano altrettanto efficaci.

Ad esempio: io chiudo gli occhi e con la fantasia mi immagino che il Comune faccia dei corsi di giardinaggio gratuiti a Prato Giardino, magari sotto la guida di un paio di docenti di Agraria, e così il Giardino sarebbe meraviglioso praticamente a costo zero e allo stesso tempo tanti cittadini imparerebbero ad avere cura delle proprie piante mentre si prendono cura del verde pubblico.

Oppure mi immagino che i treni che partono da Porta Fiorentina vadano solo verso Orte, quelli che partono da Porta Romana solo verso Roma, e che le due stazioni siano collegate da una navetta elettrica che fa la spola ogni cinque minuti su una corsia preferenziale, e ho disintossicato la Cassia in un battibaleno. Magari, visto che ci sono, mi immagino pure che quel tratto ferroviario sparisca e allargo anche la sede stradale.

A volte, quando proprio la fantasia corre a briglia sciolta, mi immagino che i commercianti capiscano che è surreale aver paura delle isole pedonali visto che la maggior parte dei cittadini fa già la spesa in isole pedonali virtuali, i centri commerciali, dove la macchina viene parcheggiata lontano dai negozi e poi si va a piedi... proprio come succederebbe in un isola pedonale vera. 

Eh, ma questi sono sogni, diranno i miei piccoli lettori. Nella vita reale non se po' fa'.

Forse. 

Ma qui a Londra, alla fine di uno spettacolo, Mary Poppins prende il volo sul palcoscenico, attraversa l'arco scenico, rimane sospesa in mezzo alla platea, apre l'ombrello e scompare dalla vista degli spettatori che rimangono incantati.

Lo so che non sempra possibile, ma in teatro ci sta gente che non ha rinunciato ad usare la fantasia e rendere possibile l'impossibile è il suo mestiere.

E allora lo sapete che vi dico? La prossima volta che mi chiedono a cosa serva il mio mestiere risponderò: "serve a farvi sognare".

Scusatemi se è poco.

Alfonso Antoniozzi

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