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Il cantante lirico
Alfonso Antoniozzi
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- Incuriosito dall'iniziativa di intitolare Prato Giardino a Lucio Battisti, ieri ho messo un piede dopo l'altro e sono andato a farmi una passeggiata nei viali che, da bambino, mi vedevano trotterellare felice verso il laghetto per dare da mangiare ai cigni e alle paperelle.
Uno striscione posto sul cancello, curiosamente semichiuso, del parco mi avvisa subito dell'intitolazione dei giardini al cantautore scomparso e subito mi chiedo se, forse, non sarebbe valsa la pena di mettere insieme quattro soldi per una targa in ottone. Però ultimamente a Viterbo va di moda il banner, e quindi banner sia. Entriamo.
Un cigno alquanto depresso mi riconosce e mi spiega che tutti i giorni spera che il laghetto dove abita possa diventare esattamente come auspicato dalla targa (acqua azzurra, acqua chiara): l'ultima volta che l'ha visto ripulito a dovere è stato quando una troupe decise di girarci alcune scene di una fiction televisiva, e siccome nessuno aveva avvisato il cigno in questione, al suo risveglio ha visto un'acqua talmente pulita che lui e la sua famiglia sono andati dall'analista per un mese per riprendersi dallo choc.
Mi indica con il muso due aspidistre moribonde, scuote la testa, dice che per far morire un'aspidistra ci vuole un talento particolare, e se ne torna nel suo nido lasciandosi dietro una scia di schiuma bianca, neanche fosse un motoscafo.
Passeggio per viale Fiori rosa fiori di Pesco, dove alcuni lecci colti da una malattia terminale si consolano guardando cos'è successo alle siepi che li fronteggiano: effettivamente pare che sui cespugli si sia accanito un gruppo particolarmente privo di talento di una scuola di parrucchieri.
Una sfera deforme, un'acconciatura alla Marge Simpsons, un tentativo di solido che ricorda curiosamente un esperimento mal riuscito di Arnaldo Pomodoro, una specie di blob senza una forma ben definita si guardano perplessi tra di loro come un drappello di signore cui un vento particolarmente cattivo abbia scompigliato la messa in piega.
Nel silenzio del primo pomeriggio sento cantare “Mi ritorni in mente bella come sei...”: è un gruppo di cecidomie, i parassiti che infestano le siepi, che evidentemente ricordano i bei tempi che furono, i tempi in cui si sono trasferite nei cespugli sani e rigogliosi che costeggiavano i viali del parco che, per continuare con un paragone pilifero, oggi sembrano colpiti da un caso particolarmente ostico di alopecia areata.
Più in alto, la recinzione in filo di ferro intrecciato a losanghe aspetta invano che il bosso cresca a coprire una bruttezza di cui, poverella, si vergogna perfino lei.
Un uomo in tuta da ginnastica corre nella direzione opposta alla mia e, a pochi passi da me, inciampa su un ramo caduto e fa di tutto per non finire a faccia avanti. Reprimo un sorriso (chissà perché, le cadute altrui mi fanno sempre sorridere) e penso a quanto sarebbe bello se nel parco ci fosse un percorso battuto dove chi vuole correre possa farlo senza rischiare di finire in traumatologia.
Alla mia destra il parco giochi, silenzioso e desolato come la morte, mi spegne subito il sorriso (chissà perché, le giostre vuote e spente mi mettono sempre malinconia).
Continuo a camminare leggendo le targhe dedicate a Lucio. Pineta... pineta? Non vedo pini. Ma sì, mi dice un gruppo di processionarie, ce n'è uno proprio lì, non vedi? Effettivamente, un pino solitario si staglia nel cielo, malato ma orgoglioso di reggere da solo l'onore e l'onere di chiamarsi pineta.
Un poco più avanti, verso il ponticello che sovrasta il secondo laghetto, vedo l'intitolazione: “Lago di Anna”.
Considerato lo stato del laghetto, se possibile più verde e schiumoso del primo, dove galleggiano bottiglie, tetrapak e altri avanzi della nostra umanità, chissà perché la mente vola alle giornate tetre e desolate passate da Anna Frank rinchiusa in una soffitta per sfuggire al delirio nazista.
Sull'altro lato della targa, il solito burlone corregge a pennarello: “Lago della Fregna”. Non so che frequentazioni abbia il signore che ha corretto la targa, ma se il laghetto gli ha fatto venire un'idea simile mi sento di consigliare una visita immediata al dermosifilopatico.
Prevenire, invece che curare. Una massima che, forse, avremmo dovuto applicare anche alle piante del parco.
E penso che Prato Giardino Lucio Battisti dovrebbe essere studiato a fondo da un team di botanici: in effetti, è uno dei pochi luoghi al mondo dove la natura, piuttosto che sopravvivere e rigenerarsi adattandosi all'habitat che l'uomo le fornisce, preferisce lasciarsi morire in silenzio, e che nessuno la disturbi.
“Com'è vero!”, sembra assentire un gruppo di castagni dalla corteccia talmente nera e porosa che pare la rappresentazione grafica di un gigantesco sarcoma di Kaposi. E mi suggeriscono: “lei che conosce gente, lo dica: noi siamo contenti che il parco sia intitolato a un genio della musica come Lucio, ma si sono dimenticati una canzone. La prego, faccia mettere un'altra targa!”
E così, spinto dalle condizioni di degrado, malattie e abbandono in cui si trova Prato Giardino, e su indicazione delle stesse piante che lo abitano, umilmente suggerisco: Prato Giardino “Il tempo di morire”. Dedicato a Lucio Battisti.
Alfonso Antoniozzi
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