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Severo Bruno
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- Secondo quanto si apprende, il presidente Napolitano avrebbe comunicato, in via preventiva, al ministro Alfano, convocato appositamente al Quirinale, le sue conclusioni circa l'incostituzionalità di alcune norme contenute nel testo di legge sulle intercettazioni e quindi avrebbe chiesto al ministro le intenzioni del governo circa l'iter del dibattito parlamentare.
Se infatti si decidesse di ricorrere anche al Senato al voto di fiducia, sarebbe impedito qualsiasi dibattito sui gravi e importanti argomenti in discussione, con effetto “blindatura“ del testo passato alla Camera e con la grave conseguenza di costringere il presidente a non firmare la legge e a rinviarla in Parlamento.
Dinanzi a questa posizione netta, il ministro avrebbe assunto una posizione possibilista, sostanzialmente corrispondente ad un passo indietro del governo, in cui avrebbe escluso il ricorso al voto di fiducia, ed avrebbe ammesso la possibilità per il governo di ridiscutere i punti considerati critici, già forsennatamente affermati e difesi in prima lettura.
Come si vede, si è trattato di un solenne avvertimento nell'ambito della “moral persuasion“ esercitata dal Quirinale al fine di evitare conflitti tra istituzioni.
Così, dopo una contrapposizione durata più di un anno, il governo avrebbe preso atto delle fortissime critiche suscitate dal disegno di legge in discussione, definita dai rappresentanti dei giornalisti “legge bavaglio”, e indicata dalla associazione magistrati la causa della morte della giustizia penale.
Le premesse erano dunque le peggiori, viste le dichiarazioni già rese in Parlamento dal giovane ministro Alfano sulla necessità di un altro voto di fiducia anche al Senato e sulla immodificabilità del testo.
Non erano valse a fermarla né le valutazioni critiche del Consiglio superiore della magistratura, né quelle del primo presidente della Cassazione e del procuratore generale, né quelle dei procuratori distrettuali antimafia, tutte fortemente critiche ed allarmate per gli effetti devastanti che la nuova disciplina avrebbe prodotto sulle indagini, anche su quelle del crimine organizzato, malgrado la loro apparente esclusione, come affermato dal Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso.
Non meno grave per la libertà di stampa le conseguenze del disegno di legge in discussione in cui sono previste nel testo varato dalla Camera, gravi e draconiane pene detentive per i giornalisti e pesantissime pene pecuniarie per gli editori, se colpevoli di diffondere notizie non certificate da documenti o atti ufficiali. Addio quindi alle inchieste del giornalismo non condizionato, cui tanto deve il Paese per la scoperta dei casi più eclatanti di corruzione di colletti bianchi e politici.
La motivazione ufficiale del governo non riguarda il premier personalmente, almeno sembra, ma si basa su una generica volontà di impedire gli abusi, come è ovvio, ma certamente mai come in questo caso il fine appare del tutto sproporzionato agli effetti che la legge produrrebbe.
Sarebbe come voler chiudere il Parlamento per aver voluto la istituzione della Commissione parlamentare di inchiesta cosiddetta Mitrokin, conclusasi poi con un processo per calunnia contro gli istigatori, almeno quelli individuati.
Comunque, il prossimo 14 luglio ci sarà la giornata di protesta della stampa e l'astensione di quella on line, compresi i blog.
Severo Bruno
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