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Severo Bruno
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- La festa della liberazione è appena passata, ma è restata nell'aria.
Per un po' di giorni, nell'umore e nei pensieri la sentiamo ancora, e quest'anno più del solito, perchè commentata e richiamata da tutti i media e dal mondo politico.
Dico subito che mi piace dare il benvenuto ai ritardatari, anche a quelli che non hanno mai festeggiato prima d'ora la ricorrenza, perché è vero che è la festa di tutti, di tutto il popolo italiano liberato, e quindi anche la festa di tutti coloro che hanno conquistato con ritardo il motivo dei festeggiamenti.
Ma sia a tutti chiaro che il 25 aprile di ogni anno si festeggia la guerra di liberazione e la libertà conquistata, non altro, per cui non si possono fare sconti.
Non si tratta di festeggiare l'apertura di un supermercato o simili, quella liberazione è costata sangue e morti, ha coinvolto la popolazione civile, donne e ragazzi, è stata sostenuta da militari e volontari, tutti in guerra contro l'oppressore e i suoi alleati.
Non si può cambiare nome e significato alla festa, perché quella libertà non fu data in regalo.
Dopo la festa unitaria che ricorda e celebra la liberazione del popolo italiano e la riconquista di una dignità nazionale, è dovere di tutti testimoniare non solo rispetto e gratitudine a quei morti, ma ricordarli in un giudizio storico sereno, respingendo nettamente ogni tentativo di confonderli con chi quella libertà aveva levato e oppresso.
Oltre la pietà per tutti i morti, nessun'altra equiparazione è possibile, per cui ci aspettiamo che tutti i ritardatari, oggi bene accolti, diano prova di essere conseguenti e ritirino il relativo disegno di legge sull'equiparazione dei combattenti, attualmente in discussione in Parlamento, così come hanno richiesto in tanti, anche di parte governativa.
Per superare gli storici steccati non è sufficiente, infatti, che cadano muri e regimi, ma occorre che ognuno riconosca le ragioni autentiche della sua appartenenza ad un popolo e ad uno stato.
Si pensi all'importanza del gesto dei nostri militari deportati in Germania che rifiutarono, a costo di privazioni, malattie e della stessa vita, di prestare giuramento di fedeltà a uno stato nuovo e diverso dal loro, preferendo la prigionia dura e la lontananza dai propri cari, piuttosto che combattere contro la patria.
Da allora è passato molto tempo e per fortuna ora possiamo festeggiare tutti insieme la festa della liberazione conquistata, perchè le ragioni dell'appartenenza vanno prevalendo sulle divisioni ideologiche.
Sì, sento proprio di dire a tutti “benvenuti”, anche ai ritardatari.
Severo Bruno
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