Processo Gradoli - La condanna all'ergastolo di Paolo Esposito e Ala Ceoban Una sentenza dura come la pietra di Stefania Moretti Viterbo - 14 maggio 2011 - ore 3,30
Esposito con i suoi legali Mario Rosati ed Enrico Valentini
Esposito ascolta la sentenza
Ala ascolta la sentenza
Ala e i suoi legali
Ala abbraccia il suo avvocato Pierfrancesco Bruno, prima di uscire
La Corte arriva in aula
Il presidente Maurizio Pacioni legge la sentenza, accanto a lui il giudice a latere Eugenio Turco
L'avvocato di Esposito Enrico Valentini
L'avvocato di Esposito Mario Rosati
L'avvocato di Ala Pierfrancesco Bruno
Il pm Renzo Petroselli
L'avvocato di parte civile per Elena Nekifor Luigi Sini
L'avvocato di parte civile per la figlia di Esposito, Claudia Polacchi
Il pm e i legali di parte civile
Esposito esce dall'aula
Elena Nekifor in lacrime, abbracciata dalla sorella Olga
- Ha afferrato la mano del suo avvocato e non l'ha più lasciata. L'ha stretta fino alla fine, Paolo Esposito. Come per aggrapparsi a qualcosa, nei tre minuti più lunghi della sua vita: quelli in cui il presidente Pacioni ha letto la sentenza di primo grado che ha condannato lui e la sua compagna Ala Ceoban all'ergastolo per il duplice omicidio di Elena e Tatiana.
Per quei tre minuti, ci sono volute cinque ore di camera di consiglio. Un'attesa febbrile, che si leggeva tutta sul volto dei gradolesi, dei parenti di Paolo e Ala, dei carabinieri che hanno seguito le indagini. Ma soprattutto negli occhi sempre più piccoli e lucidi dell'avvocato Luigi Sini e nell'insolito pallore del suo collega Enrico Valentini.
Sono le 13,15, quando gli imputati prendono posto e la Corte scioglie le riserve. I giudici entrano in un'aula traboccante. Stracolma, eppure silenziosa. Non vola una parola quando il presidente Pacioni inizia a leggere.
Paolo Esposito lo fissa immobile. Gli occhi sbarrati, tenta di incassare i colpi di quelle parole dure come sassi. Condanna. Ergastolo. Responsabili. Omicidio. E poi, "decaduto dalla potestà genitoriale". La frase che lo separa dalla sua bambina, gli spalanca ancora di più gli occhi e gli incurva la schiena. Come se qualcuno avesse gettato un pesante macigno sulle sue spalle.
Il volto di Ala è una maschera che non tradisce emozioni. La fila di fotografi davanti a lei è pronta a coglierle in un flash. Ma Ala rimane dritta e fiera, a guardare in faccia i giudici e la prospettiva di passare tutta la vita in una cella. Lei, che ha 26 anni appena.
Più gli occhi di Paolo si sgranano, più quelli di Ala si stringono. Solo alla fine si abbassano, quando le guardie carcerarie la portano via con il suo uomo. A quel punto, anche Ala può cedere e far uscire quelle lacrime ricacciate indietro a forza dal suo orgoglio, in aula.
Piangono lei e Paolo. Piangono gli avvocati che, per loro, hanno "fatto il possibile. Ma, purtroppo, non è bastato".
Piangono Maria ed Enrico Esposito, per quel loro unico figlio "condannato senza prove". E piange Elena Nekifor. Madre di Ala e Tatiana. Un dolore che neppure l'abbraccio di sua sorella Olga riesce a placare.
Tutte le sue lacrime scorrono a fiumi durante la camera di consiglio, prima della sentenza, dopo. E' a lei che spetta il ruolo più sofferto in questo processo: quello di madre della vittima e del carnefice. Destinata comunque a soffrire. Perché neppure un verdetto diverso avrebbe potuto consolarla. Nessuna sentenza le restituirà mai sua figlia Tatiana.
Le parole del suo avvocato Luigi Sini, a fine udienza, sono tutte per lei. "Ha affrontato questi due anni con una grandissima dignità e un grande coraggio", nonostante lo strazio di non sapere come "sua figlia e sua nipote sono state uccise e se hanno sofferto".
Una soddisfazione a metà, quella del pm Renzo Petroselli e dei legali di parte civile, perché "viene da una tragedia che andrà avanti nel corso degli anni, con le generazioni future". Il pensiero va alla bimba di Paolo e Tatiana. La vittima più indifesa di questa vicenda. Affidata prima al sindaco di Gradoli. Poi a un tutore a Bologna. Una piccola vita spezzata che resterà in mano al tribunale dei minori fino ai diciott'anni. Poi chissà.
Per Paolo e Ala è solo l'inizio. Le motivazioni della sentenza arriveranno entro 90 giorni. I loro avvocati già le aspettano e già sanno che passeranno l'estate a scrivere, scrivere, scrivere. Ieri dubitavano di fare appello. Oggi ne sono sicuri. E non solo perché, come dice Valentini, "certe sentenze si devono impugnare". Ma anche e soprattutto per i loro assistiti. Gli hanno chiesto loro di andare avanti. Ala, in particolare, che alla fine li ha abbracciati forte e ha detto loro di continuare a combattere. Bruno, Rosati e Valentini lo faranno.