- Pochi mesi dopo l’elezione di papa Callisto III, precisamente il 12 agosto 1455, i priori del Comune di Viterbo inviavano una supplica al nuovo pontefice per cercare di favorire la canonizzazione della concittadina Rosa oggetto di venerazione popolare da quasi due secoli.
Il 27 marzo 1457, dopo oltre due secoli dalla morte, si apre il processo di canonizzazione con 263 testimonianze per 170 miracoli. Processo che non verrà mai concluso.
Ma con lo sviluppo a Viterbo del culto verso la Madonna della Quercia (che non ha bisogno di canonizzazione pontificale) la devozione verso Santa Rosa subisce un altro calo.
Lo testimoniano, oltre alle cronache e i libri di famiglia, i legati testamentari, le donazioni e le oblazioni.
Nei protocolli di 15 notai attivi nel secondo Quattrocento, infatti, si trova soltanto un lascito testamentario a favore del monastero di santa Rosa (che peraltro risponde solo in parte ad un’esigenza devozionale essendo derivante da un legato precedente) e uno personale a favore di una suora (riguarda Bartolomeo di Tuccio di Bagnaia che lascia una vigna alla sorella Mattea monaca di Santa Rosa). E in tutta la documentazione il nome di Rosa ricorre soltanto tre volte.
Numerosissimi, invece, sono i lasciti a favore di Santa Maria della Quercia.
Secondo lo statuto comunale del 1469 le feste ufficiali viterbesi annuali erano 4: la festa di San Michele arcangelo l’8 maggio di ogni anno a ricordo della liberazione della città dalla tirannia del prefetto Francesco de Vico avvenuta nel 1387; la festa di San Lorenzo patrono della città il 10 agosto; la festa dell’Assunta il 15 agosto; e le feste di carnevale
Un’altra devozione, alla fine del Quattrocento, prenderà il cuore dei viterbesi: a favore della giovane terziaria Lucia Brocadelli da Narni che proprio mentre era a Viterbo ricevette il dono delle stimmate nel 1496.
Devozione che cessò nel momento in cui suor Lucia decise di lasciare Viterbo, nascosta all’interno di un cesto di biancheria, per andare a Ferrara.
Dopo questa delusione dei viterbesi, agli inizi del Cinquecento, sospinto dai francescani, riprende il culto verso Santa Rosa.
E l’Arte degli speziali, nel 1509, è la prima ad inserire nel proprio statuto l’obbligo di onorare e rispettare, con l’astensione dal lavoro, la ricorrenza della Festa di Santa Rosa nel mese di settembre a ricordo della traslazione del Corpo.
Qualche anno dopo, il 14 aprile 1512, uno degli otto priori in carica, Agostino Almadiani, propone al Consiglio dei XXIV che la festa di Santa Rosa fosse onorata pubblicamente da tutta la città con una processione dei rettori delle arti che, dopo essersi riuniti nella piazza del Comune, al suono delle trombe, insieme ai priori si dirigessero “ad dictam ecclesiam cum luminaribus” e “cum cere oblazione”.
La proposta, accettata all’unanimità, ritorna nuovamente il 15 maggio successivo nel consiglio generale, quando uno dei priori, il medico Galieno Almadiani, ne richiede la conferma per dare più forza all’iniziativa.
Viene così presa in considerazione la proposta del notaio Spinello Altobelli che suggerisce di onorare santa Rosa con una solenne processione, sempre “cum luminariarum et cerarum oblazione”, di tutte le arti e delle autorità comunali, dalla piazza del comune fino alla chiesa della santa.
Comunque, anche dopo il 1512, insieme a Santa Rosa, nei registri ufficiali del comune continueranno ad essere invocati, accanto a Dio e alla Vergine Maria, anche il beato martire Lorenzo “caput et dux communis Viterbii”, i martiri Ilario e Valentino e altri santi.
Solo a partire dal 1590, nei libri delle riforme comunali, compare, tra i santi patroni, anche il nome della “beata Rosa nostra viterbese”, forse non a caso dopo la registrazione del Martirologio romano avvenuta nel 1583.
E il trasporto con la Macchina avvenne, per la prima volta, nella metà del XVII secolo.
Silvio Cappelli
Aspettando il 3 settembre - Prima parte - Dal 1252 al 1452
Il culto dei viterbesi verso Santa Rosa
di Silvio Cappelli
Viterbo - 18 agosto 2009 - ore 3,30
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