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Una manifestazione di Vertice Primo
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Per gentile concessione del Messaggero pubblichiamo un'intervista di Simone Canettieri a un esponente di Vertice primo, movimento ormai confluito nella Fiamma tricolore.
- A nemmeno un chilometro dal palcoscenico dell'ultima aggressione di stampo neo-fascista c'è il loro bar. Una casualità, certo. Ma proprio qui tra queste sedie e tavolini, giovedì notte, gli agenti della Digos sono venuti a prenderli.
Sospettati di aver aggredito i due ventenni della Sinistra giovanile. Una retata terminata in Questura solo alle 2 di notte.
Sono i ragazzi di Fiamma Tricolore, ex animatori di Vertice Primo, associazione "culturale" scioltasi alla vigilia delle ultime elezioni. Hanno partecipato alla manifestazione del 2 dicembre a Roma contro la Finanziaria; la domenica dalla curva seguono le partite della Viterbese senza disdegnare striscioni a favore del mutuo sociale, contro l'aborto, la droga e l'immigrazione; al prossimo congresso nazionale della Fiamma eleggeranno il segretario provinciale, referente per Viterbo.
Sono fascisti, e non lo nascondono. Né quando un anno e mezzo fa occuparono un asilo alle Farine, né quando trovarono un tetto dove vivere a un'anziana di Tuscania.
Sulle loro teste - rasate ma non vistosamente naziste - pendono decine di processi.
«Sì, giovedì scorso otto di noi, me compreso, sono stati portati in Questura. Per un confronto all'americana dietro agli specchi invisibili con i due presunti aggrediti. Ma non siamo stati riconosciuti, ovviamente. Non c'entriamo nulla con questa storia.
Anche se c'era il rischio che venissimo arrestati, magari solo perché uno di questi ragazzi in quel momento era sotto schoc. Dobbiamo ringraziare la sensibilità del vice-questore che ha capito che eravamo estranei ai fatti. E pensare che giovedì stavamo festeggiando la ragazza di una nostro amico rimasta incinta...». Nicola Zanobi, 30 anni, è uno dei più grandi del gruppo ma non vuole essere etichettato come il capo di questi giovani estremisti. Circa una cinquantina di ragazzi, provenienti da tutta la Tuscia, che alla vigilia delle elezioni hanno sciolto Vertice Primo per confluire dentro Fiamma Tricolore di Romagnoli. Una piccola svolta.
«Abbiamo scelto di abbandonare la politica extra-parlamentare. Eppoi guardateci: siamo così come ci dipingete?», si chiede ironico Nicola, mentre mostra il suo abbigliamento (Clark ai piedi, jeans, camicia e maglioncino).
Intorno a lui, ad ascoltare, gli altri. Pronti a respingere il teorema che da un paio d'anni le cronache giudiziarie propongono con insistenza: neo-fascisti uguale violenza.
Pestaggi, cinghiate, intolleranza, scritte anti-semite sui muri.
«C'è un clima di caccia alle streghe - continua Nicola - nei nostri confronti. Veniamo sempre tirati in ballo ma a oggi non ci sono condanne nei nostri confronti. Invece, siamo sempre additati come dei violenti. La colpa è dei giornali e delle forze dell'ordine».
Molti di questi ragazzi hanno ricevuto l'avviso di pericolosità sociale: una brutta patente per chi sta entrando dentro la società dei grandi e del lavoro. La violenza comunque fa parte della storia recente di questo gruppo. E questo sta agli atti.
«Ma noi non rivendichiamo nessun errore da parte dei nostri camerati. Ci vuole coerenza. Se veniamo provocati, rispondiamo. Esiste l'autodifesa in questo Paese, no? Ma non andiamo in giro di certo con le spranghe e i coltelli dentro ai furgoncini: queste sono leggende metropolitane. Facciamo politica alla luce del sole».
Il fatto di giovedì scorso li ha comunque toccati. «Potrebbero essere stati estremisti di sinistra, delinquenti comuni o chiunque. Ma non vogliamo esprimere solidarietà ai due aggrediti perché non conosciamo i fatti. Ormai chiunque viene picchiato se la prende con noi».
Dura la vita dei fascisti del XXI secolo. E a sentir loro, specialmente a Viterbo, storica enclave di An, la destra traditrice.
«Quando occupammo la scuola alle Farine il Comune ci denunciò. Solo perché non abbiamo la tessera del partito. Sotto elezioni anche Forza Italia si avvicinò a noi, promettendoci soldi, un'emittente radiofonica ed è meglio non continuare...».
Ad ascoltarli le loro famiglie sono preoccupate. Ma non per la radicale ed intrasigente scelta politica dei figli. Bensì per il contrario: perché, secondo le famiglie, questi ragazzi sono vittime dell'opinione pubblica.
Dentro certe logiche in auge tra i gruppi estremisti, violenza chiama violenza. E loro, di sicuro, anche se non sono colpevoli, sono molto visibili.
«A noi le provocazioni ci fanno sorridere». Come dire che la paura non alberga in questi corpi. Giovani dal fisico sportivo. Cultori del corpo e, in maniera discutibile, anche dell'anima.