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Romano Giovannetti
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- Per ogni euro speso in pasta non più di 8 centesimi servono per pagare il grano prodotto dagli agricoltori con valori che scendono ulteriormente se si tratta di pasta fresca, a conferma di come sia strumentale imputare ai prodotti agricoli la responsabilità di aumenti così rilevanti al consumo.
E' quanto afferma la Coldiretti che, in riferimento agli incrementi dei listini decisi dalle principali industrie alimentari, sottolinea che il costo del grano è adesso lo stesso degli anni 80, a differenza di quanto avviene per i prodotti derivati che sono fortemente rincarati per i consumatori.
Nel momento in cui il prezzo del grano dopo anni di continui cali comincia ad avere un andamento appena sufficiente si ripetono - sottolinea Michelini, Presidente di Coldiretti Viterbo - ingiustificati allarmi a fini esclusivamente speculativi: dal pane alla pasta fino addirittura ai dolci.
Vale la pena ricordare - precisa la Coldiretti - che con un chilo di grano dal prezzo di circa 20 centesimi al chilo si riesce a produrre con la trasformazione in farina e con l'aggiunta di acqua, un chilo di pane che viene venduto ai cittadini a valori variabili da 2,5 euro al chilo per il pane comune a 5 euro e oltre per i pani più elaborati, con valori ancora molto più alti per i dolci.
Il rischio è che gli allarmi, oltre a frenare lo sviluppo di energie alternative determinanti per combattere i cambiamenti climatici in atto, servano - sostiene la Coldiretti - a coprire la volontà di aumentare le importazioni dall'estero di prodotti da spacciare come “Made in Italy” in assenza di una adeguata informazione in etichetta.
Peraltro in Italia si registrano pesanti ritardi nello sviluppo di energie alternative provenienti dalle coltivazioni agricole nazionali e, ad oggi, non c'è neanche l'ombra di biocarburanti nei distributori nonostante gli obiettivi fissati dalla finanziaria, che prevede che i biocarburanti come il biodiesel o il bietanolo ottenuti dalle coltivazioni agricole debbano essere distribuiti in Italia nel 2007 in una quota minima dell'uno per cento, di tutto il carburante (benzina e gasolio) immesso in consumo.
E ciò significherebbe la messa a coltura a colza o girasole a fini energetici in Italia di 273 mila ettari di terreno.
Si tratta di valori da incrementare nel tempo di cinque volte per raggiungere l'obiettivo fissato dall'Unione Europea di utilizzare i biocarburanti per sostituire entro il 5,75 per cento dei carburanti derivanti dal petrolio necessari per i trasporti. I biocarburanti derivano dalle coltivazioni agricole che l'agricoltura italiana produce in abbondanza e in particolare il bioetanolo - spiega Giovannetti, direttore della Coldiretti di Viterbo - viene prodotto tramite processi di fermentazione e distillazione di materiali zuccherini, amidacei o sottoprodotti come cereali, barbabietola da zucchero e prodotti della distillazione del vino, mentre il biodiesel deriva dall'esterificazione degli oli vegetali ottenuti da colture come il colza e il girasole.
Con il biodiesel - conclude la Coldiretti - è possibile ridurre dell'80 per cento le emissioni di idrocarburi e policiclici aromatici e del 50 quelli di particolato e polveri sottili mentre con il bioetanolo si riducono le emissioni di idrocarburi aromatici come il benzene del 50 per cento e di oltre il 70 per cento l'anidride solforosa, mentre cali più contenuti si hanno anche per il particolato e per le polveri sottili.