 |
|
Copyright Tusciaweb |
- La genetica applicata al servizio degli agricoltori per fronteggiare i cambiamenti climatici e orientare alcune produzioni agricole verso nuove utilizzazioni.
Da alcuni anni un gruppo di esperti ci sta lavorando ed i risultati sembrano arrivare. Alla facoltà di Agraria dell’Università della Tuscia si stanno sperimentando metodi per favorire la crescita di piante di frumento in ambienti sfavorevoli, in particolare nei luoghi dove scarseggia l’acqua.
Nei laboratori di tutto il mondo si sta preparando la risposta agli effetti dei cambiamenti climatici che provocano nuovi e più violenti attacchi da parte di nuovi ceppi di microrganismi fitopatogeni.
“I sistemi agricoli dovranno adattarsi a queste condizioni- dice il professor De Pace- e saranno richieste nuove varietà più resistenti per mantenere stabili le produzioni anche a fronte del verificarsi di questi eventi.
Ecco perché il nostro gruppo di ricerca sta effettuando esperimenti nell’azienda agraria universitaria allo scopo di selezionare le piante che esprimono caratteri utili per fronteggiare le nuove condizioni di stress ambientale”.
In particolare si stanno ponendo sotto osservazione alcune piante di frumento che manifestano immunità alle più comuni malattie fungine, vanno in spigatura prima che inizi il periodo di scarsa umidità nel terreno, o si adattano a sistemi agricoli “low input”. Infatti alcune linee forniscono granella di buona qualità anche quando coltivate in assenza di interventi diretti da parte dell’agricoltore, a parte la semina e la raccolta. Questa situazione rappresenterebbe un modello di agricoltura sostenibile peraltro già in parte realizzato mediante la coltivazione del farro.
Tuttavia, le specie utilizzate nella coltivazione del farro presentano, tra l’altro, alcune imperfezioni quali spigatura e maturazione tardiva, altezza e struttura del culmo che facilita l’allettamento, e granella “vestita”. Pertanto alcuni dei suddetti materiali selezionati hanno delle buone potenzialità come “nuovi farri”, cioè frumenti che producono granella di buona qualità in condizioni di ”basso input” e privi delle menzionate imperfezioni.
Il lavoro viene effettuato in collaborazione con l’Istituto Sperimentale per la Cerealicoltura di Roma e S. Angelo Lodigiano del Consiglio per la Ricerca e la Sperimentazione in Agricoltura e con ricercatori dell’Università di Perugia. Se tutto andrà come previsto queste piante potranno essere usate per costituire varietà da coltivare con buoni raccolti nei Paesi dove oggi vari agenti patogeni o condizioni climatiche avverse ne compromettono la crescita.
“Stiamo portando avanti anche esperimenti su piante destinate alla produzione di biomassa per la trasformazione in biocarburante- dice il professor De Pace- il combustibile del domani.
Ad esempio, si sa che tra qualche anno, la produzione di bioetanolo derivata da vegetali, destinata ad alimentare i motori delle auto e non solo, dovrà rappresentare non meno del 5% del totale dei carburanti. In Brasile si sta coltivando la canna da zucchero e negli Stati Uniti il mais dai quale estrarre bioetanolo. Noi- continua il professor De Pace- stiamo sperimentando la coltivazione di piante semi-domesticate che producono inulina, un polimero del fruttosio.
E’ stato accertato che il fruttosio, oltre a rappresentare un dolcificante dietetico, questo è energeticamente più efficiente, a parità di peso, rispetto ad altri zuccheri di origine vegetale, per la produzione di biocarburanti, poichè viene estratto da piante che richiedono minore lavoro di coltivazione, basso impiego di concimazione, sporadici trattamenti antiparassitari.
Inoltre, mediante conversione del fruttosio in 2,5-dimethylfuran (DMF) si ottiene un biocarburante che rispetto all’etanolo, presenta una densità energetica superiore del 40%, ed essendo insolubile in acqua, richiede per la distillazione il 67% in meno dell’energia necessaria per la distillazione dell’etanolo”.