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Giuseppe Mascolo |
- Una copia del Tempo c’era sempre a casa mia. E Il Tempo, per me appena adolescente, e tifoso della mitica Viterbese che guadagnava, credo per la prima volta, la serie C, significava, innanzi tutto, gli articoli di Giuseppe Mascolo.
Un buon italiano. Mancanza d’enfasi, pacatezza, nessuna faziosità. Il senso onesto della notizia: poco importa se, magari, spiacevole per qualcuno. E un’opinione sempre franca, cordiale, collaborativa.
La scrittura di Mascolo era lontana dalla retorica parolaia, dall’ingenuità e, diciamolo pure, dal pressappochismo culturale di tanto giornalismo sportivo italiano.
Una scrittura concreta: se leggevi, capivi. E imparavi: di calcio, sì, ma non solo. Devo a Giuseppe Mascolo, nel corso degli anni, alcuni momenti di pura e smemorata gioia.
Chiamatela pure tribale, questa gioia, se volete: ma cosa c’è di meglio, per uno che s’è abituato presto, come me, a fare parte per sé stesso, che vibrare, qualche volta, all’unisono con la propria tribù? La mia tribù, come anche per Mascolo, si veste di gialloblù.
Devo confessarlo: non ho interesse per il calcio, ma non mi perdo una partita della Viterbese. Potete immaginare quale e quanta sia, ora, la gratitudine che provo nei confronti di chi, come Mascolo, ne ha redatto per decenni, insuperabilmente, le cronache.
Non lo conoscevo allora, ma sapevo che era amico di mio padre: e questo mi bastava per pensare che fosse una brava persona. Poi l’ho conosciuto: e m’è piaciuta subito l’ironica e proba bonomia con cui mi sembra guardasse al mondo.
Quando pioveva e andavo in tribuna centrale sono stato un frequentatore incallito della Prato Giardino- lo cercavo sempre, durante l’intervallo, per una chiacchierata mai meno che piacevole.
Si parlava di Viterbese, certo: ma, sempre, anche di suo figlio Massimiliano che, come me, per assecondare una vocazione ha dovuto espatriare. E’ difficile non voler bene a un ragazzo affettuoso, brillante e intelligente come Massimiliano: figuriamoci per chi gli è stato padre e nel figlio ha visto prolungarsi ed approfondirsi la stessa passione, la stessa competenza.
Ecco: gli occhi che gli si accendevano d’amore paterno, sotto la disposizione naturalmente scettica di chi doveva averne viste tante, senza mai indulgere ai patetismi, altrimenti tipici dei genitori quando parlano dei pargoli, mi resteranno indelebili nel ricordo.
Mascolo è entrato per sempre in quei territori dell’assenza che sono esattamente gli stessi per credenti e non credenti. Nessuna lira d’Orfeo, purtroppo, ce lo potrà restituire. Immagino il dolore dei suoi famigliari: immedicabile.
Quei famigliare che vorrei ora abbracciare, almeno nella persona di Massimiliano, mio amico.
Ne sono sicuro: ogni volta che mi capiterà tra le mani una copia di quello che fu il suo giornale, sarà difficile reprimere il riflesso condizionato e non andare a cercare l’articolo che porta la sua firma.
Di una cosa sono certo: è di viterbesi come Mascolo che abbiamo bisogno.
Massimo Onofri