Riceviamo e pubblichiamo
- E' di tutta evidenza che Pecorelli ami le sfide difficili. Prova provata la decisione (avventata?) di venire nella Tuscia e di pilotare una società malridotta da due annate fallimentari. Si trattava di avviare la ricostruzione con coraggio e determinazione. Senza contare il cospicuo investimento finanziario da mettere sul piatto senza tentennamenti.
Ciò è tanto vero che, in un'intervista rilasciata non più di cinque mesi fa, a precisa domanda il patron rispondeva "Perché sono qui ora? Perché mi piacciono le imprese complicate e il Viterbo Calcio lo è. Seneca diceva che non è vero che non si osa perché le imprese sono complicate, le imprese sono complicate proprio perché nessuno osa. So che è difficile, ma ritengo che le squadre di calcio siano come le aziende. Vanno gestite con oculatezza e capacità. Solo così si ottengono i risultati".
A chi gli faceva notare come il bacino di utenza potesse rappresentare un limite, rispondeva con rassicurante sicurezza che "Portare il Viterbo in serie B significherebbe realizzare la metà di quello che ho in mente. Non ho dubbi nell'affermare che Viterbo potrebbe tranquillamente avere una squadra di serie A, per tipologia di città e per bacino di utenza. Anche se ora magari non è ampio, potrebbe di certo rispondere bene. Basta pensare al Chievo Verona, squadra di un piccolo quartiere che milita da anni in A gestita in modo esemplare e fruttuoso di risultati, anche se con un non certo vasto numero di tifosi".
Anche nella conferenza stampa di presentazione della (ancora) AS Viterbo calcio Pecorelli era stato assai chiaro in questo senso. Affiancato da Angelo Venanzi e da Giulio Marini, aveva illustrato con dovizia di particolari l'ambizioso programma che si proponeva di realizzare. E delineato obiettivi precisi e programmi altrettanto precisi per conseguirli.
Nella circostanza colpirono alcuni intriganti passaggi relativi al modo innovativo di concepire la conduzione della società. Essa avrebbe infatti avuto un carattere “assolutamente vincente" e connotati "assolutamente aziendali". Ma, più di ogni altra cosa, impressionò il rapporto paritario che si proponeva umilmente di instaurare con il contesto e che avrebbe costruito su un "dialogo costante e quotidiano" e su una “precisa volontà di accettare e di affrontare le critiche”.
Da quella conferenza stampa, che risale al 16 agosto 2005, ne è passata di acqua sotto i ponti. Il rendimento della squadra non si è mai dimostrato pari alle attese. Il riordino societario è rimasto miseramente al palo. Il rapporto con l'ambiente, ancorché improntarsi a reciproco rispetto, si è andato deteriorando in termini esponenziali.
Le attuali difficoltà finanziarie, da più parti ventilate quanto regolarmente rispedite ai diversi mittenti, potrebbero ora condurre a una messa in mora della società gialloblù per la mancata corresponsione degli emolumenti concordati con i dipendenti e con i giocatori.
Ciascuno potrà giudicare, con obiettività, quanto poco (nulla?) sia stato realizzato di ciò che era stato (arditamente?) progettato e prospettato.
Se le parole hanno un peso (e non si può negare che lo abbiano) non resta che reiterare a un presidente, tanto arrabbiato quanto ostinato nel voler continuare a negare l'evidenza dei fatti, le domande che da mesi gli vengono stancamente indirizzate.
Perché ha preso la Viterbese? Perché si è prefisso obiettivi (in apparenza) superiori alle sue effettive possibilità? Perché non si decide infine a orientarsi, vista l'imprevedibile cascata di eventi negativi, verso un definitivo abbandono del timone di comando?
Perché, in carenza di acquirenti disposti a subentrargli, non espone con chiarezza i problemi societari? Perché non cercare un incontro sul merito con il primo cittadino? Il quale, a sua volta, dovrebbe auspicare di farsi garante del futuro di una società che rappresenta uno dei patrimoni della città e che egli stesso ha fatto rinascere dalle ceneri della fallita Us Viterbese calcio '90 grazie al lodo Petrucci.
Nel caso di specie il ruolo delle istituzioni, a nostro parere e non solo, dovrebbe essere (è) quello di tutelare l'unica espressione professionistica del calcio provinciale. Essa, in quanto indice di appartenenza al territorio, rappresenta la proiezione di precisi interessi sociali e culturali in senso lato.
Ciò in virtù di una storia che si avvicina a essere centenaria. In questo senso, un'azione mediatrice della politica volta alla soluzione dei problemi della As Viterbese sarebbe (è) utile e opportuna. Anzi, si dovrebbe dire doverosa. Prima che sia troppo tardi si imporrebbe (impone) la necessità di trovare, con lodevole lungimiranza, soluzioni condivise e compatibili.
Non resta che ribadire un appello pressante. Più volte avanzato, ma che oggi pretende una risposta rapida e concreta entro i tempi ristretti che le scadenze in agenda richiedono.
Alla società si chiede di decidersi a fare, una volta per tutte, un passo indietro. Alle istituzioni (Comune e anche Provincia) di muoversi per farne uno in avanti. Si tratta di centrare un obiettivo ineludibile, cioè quello di risolvere la questione gialloblù prima che essa precipiti.
Un gesto bilaterale da ritenersi dovuto, per una valida serie di ragioni. In primo luogo, per obblighi di tipo istituzionale. Poi, per senso di responsabilità. Infine, in segno di amore verso i colori.
Sergio Mutolo