Riceviamo e pubblichiamo un intervento di Patrizia Roselli che ci appare di grande valenza politica e culturale, non solo per il suo contenuto ma anche per la storia di chi scrive.
- Leggo sul Corriere di Viterbo di venerdi 10 marzo di una mia posizione “revisionista” che considererebbe superata e obsoleta la contrapposizione fascismo / antifascismo.
Chi mi conosce sa che tutta la mia storia personale e politica è contrassegnata dalla lotta contro ogni fascismo e autoritarismo. La contrapposizione con i padroni nei posti di lavoro, la critica del sistema patriarcale, l’avversione alle guerre e ad ogni forma di discriminazione sono parte della mia vicenda politica, per la quale ho pagato anche dei prezzi personali.
Dunque, nessun revisionismo, né equiparazioni tra fascismo ed antifascismo come categorie storiche.
Semmai, da parte mia, l’approdo convinto alla cultura della nonviolenza e alla critica di un’idea novecentesca del potere, quali elementi su cui ricominciare a costruire e a sognare pratiche di trasformazione.
Quello che invece non mi convince nel dibattito “sulla violenza” a Viterbo e che ho cercato di spiegare nell’assemblea di mercoledi scorso, in occasione della presentazione del volumetto “Sortirne tutti insieme”, è il tentativo di leggere dinamiche sociali complesse che sono il frutto delle contraddizioni del nostro tempo, utilizzando prevalentemente categorie che forse rassicurano i nostri bisogni identitari, ma temo che poco dicano dell’incertezza, dell’insicurezza, del disorientamento, della perdita di senso che investono la nostra società ed in particolare le giovani generazioni.
Vedete, io credo che oggi sia relativamente semplice essere contro il fascismo (in fondo, a parte alcune sacche marginali, nessuno rivendica quel tragico passato), quello che invece è maledettamente più complicato è fare i conti con una modificazione, quasi antropologica, che investe la società e i giovani in particolare.
Una modificazione che produce indifferenza, passività, disinteresse per tutto e che talvolta individua nella violenza, nel branco, nel bullismo, negli abusi, negli atti vandalici le forme di una ribellione postmoderna, capace di produrre “emozioni” forti e di rispondere a domande drammatiche e disperate di identità.
Come insegnante e come militante politica mi chiedo: come mi rapporto a tutto questo, come posso tornare a parlare di futuro a giovani che conoscono soltanto il presente dell’”esisto perché consumo”? Le mie risposte sono poche e confuse e rischiano inevitabilmente di riproporre le categorie che conosco. Ma sento che non bastano.
Mi piacerebbe che il sasso lanciato da Galeotti e Ricci diventasse voglia di ricerca, capacità di ascoltare, coinvolgimento dei giovani, delle famiglie, degli educatori, degli operatori sociali. Senza questa ricerca aperta e collettiva si rischia di scivolare nel “deja vu” e nella riproposizione di inutili e tranquillizzanti analisi “politicamente corrette” ad uso e consumo del prossimo scontro elettorale, non certo utili a promuovere l’assunzione di “responsabilità”, né collettiva, né personale, anche solo nei confronti di dinamiche, estremamente pericolose, che investono il nostro territorio.
Patrizia Roselli