Riceviamo e pubblichiamo
- Egregio direttore,
con piacere apprendo che da entrambi gli schieramenti politici, a livello di adeguata rappresentatività, si vada consolidando la linea di pervenire a discutere di aeroporto attorno ad un tavolo tecnico ove si affronti con razionalità e senso dello Stato il problema avvertito da più parti di uno sviluppo coordinato e concreto dei modi trasporto in tutta la Regione Lazio. Ritengo l’iniziativa interessante.
E’ certamente il modo migliore per fare chiarezza ed evitare inutili accelerazioni e sterili polemiche.
Per decenni la Regione Lazio non è riuscita a varare un organico piano regionale dei tasporti e forse questa è l’occasione buona.
E’ noto ai più che intermodalità dei trasporti (aereo, ferroviario e stradale) rappresenta un obiettivo atto a garantire soddisfacimento alle esigenze di rapido ed efficiente spostamento dei cittadini d’Europa in un contesto che tenga conto della domanda e delle potenzialità di offerta, in un regime di libero mercato, nonché della sempre maggiore attenzione volta ad evitare inutili sprechi di risorse economiche.
E’ evidente che, in particolare per il trasporto aereo, qualcosa occorre fare e presto.
E’ nota da tempo l’insufficienza degli aeroporti romani a soddisfare una crescita esponenziale di traffico aereo.
Vero è che l’infrastruttura aeroportuale italiana non è sufficiente ad assecondare tale crescita del trasporto aereo, ma altrettanto vero è quanto ha affermato l’amministratore delegato dell’Enav, Guido Pugliesi, nel corso del convegno della Uil sul trasporto aereo, il 20 novembre scorso: «Tutti parlano di crisi del settore del trasporto aereo. La crisi riguarda alcuni principali vettori nazionali ma il mercato c’è.
Il settore del trasporto aereo è infatti caratterizzato da una crescita di traffico superiore a quella degli altri principali settori dell’economia.
Più in particolare, in termini di numero di voli, abbiamo un incremento prossimo al 4% per i passeggeri ed al 6% per le merci. Dobbiamo però anche chiederci se l’attuale sistema aeroportuale sia effettivamente in grado di assecondare questa crescita, garantendo sempre la qualità e la sicurezza dei servizi offerti all’utenza.
Secondo me, tenendo conto delle incertezze derivanti dalla mancanza di un piano nazionale di riferimento (per esempio, anche sulle concessioni per le società di gestione), stenta ad affermarsi in Italia un compiuto piano per lo sviluppo dell’infrastruttura aeroportuale, quest’ultima intesa come sistema di piste di volo, vie di rullaggio, aerostazioni, raccordi intermodali, ecc.
Basti dire che in Italia esistono due soli aeroporti con due piste di atterraggio, mentre ad esempio Madrid e Parigi già ne hanno quattro, Londra e Francoforte tre».
L’aspetto più interessante emerso in questo come in altri numerosi dibattiti che hanno riguardato la realizzazione di nuove strutture aeroportuali o il potenziamento di quelle esistenti è la necessità di fare sistema, tra tutti gli attori del trasporto aereo, in modo che agiscano in stretto coordinamento tra loro al fine di pianificare e realizzare in sinergia i necessari interventi di sviluppo.
Ma per fare sistema sarà necessario che ciascuno degli operatori del settore, così come gli anelli di una catena, provveda a dotarsi delle strutture e delle capacità necessarie e che le amministrazioni locali ne assecondino lo sviluppo in quadro di insieme che lascia poco margine ad egoistiche improvvisazioni.
Ed il processo deve avvenire con la consapevolezza che deve essere propria di ciascun operatore di dover necessariamente mirare alla creazione di valore non solo per se stesso, ma anche per l’intero sistema.
In proposito occorre ricordare che l’amministratore delegato di Ryanair, Michael O’Leary qualche giorno fa ha minacciato: «Se ci costringeranno a spostare i voli su Fiumicino o su un altro aeroporto del Lazio ce ne andremo da Roma e apriremo una nuova base su un altro aeroporto europeo o in un’altra regione italiana. E Roma perderà 3.000 posti di lavoro e tre milioni di passeggeri l’anno».
Ecco quindi che solo in un quadro certo può affermarsi una scelta consapevole di specifiche attività di trasporto aereo su di uno scalo anziché su di un altro. Al di fuori di questa logica si potrebbero addirittura creare situazioni di danni irreparabili per l’economia di un territorio, non nuove nel nostro Paese (vedi aeroporto di Grottaglie).
Non vorrei essere additato come colui che avversa la realizzazione di un sogno per molti viterbesi di disporre di un aeroporto sotto casa che consenta comodi spostamenti per l’Italia e per il mondo e che faccia da volano allo sviluppo economico di tutto il territorio.
Non è così. Ma esattamente il contrario. Se si vuole in effetti disporre di uno scalo al servizio della collettività regionale (perché solo in questi termini si pone il problema) occorre pianificare un processo graduale di implementazione del T. Fabbri che potrebbe realisticamente contemplare, in prima fase, un potenziamento delle attuali strutture da asservire ad attività aeree di protezione civile e di lavoro aereo nonché ad ospitare attività charteristica, turismo privato, aerotaxi e quant’altro di aeromobili di medie dimensioni per i quali risulti sufficiente una pista di circa 2000 metri debitamente attrezzata.
Ma prospettare, come qualcuno vorrebbe far intendere tra le righe di qualche comunicato, che l’aeroporto civile nazionale ed internazionale di Viterbo potrebbe essere prescelto da subito per ospitare le medesime tipologie di traffico di Ciampino e Fiumicino (quindi presumibilmente anche Jumbo e Airbus) onde alleggerire l’attività degli scali romani, suscita in me e non solo in me, numerose perplessità. Potrebbe essere la strada per parlare di aeroporto senza averlo mai…
Vive cordialità.
Bruno Barra