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Manlio Cerosino
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- Manlio Cersosimo, figlio del giudice istruttore del processo di Verona, in un’intervista rilasciata a Franco Grattarola per il periodico «Cine70» smentisce le ricostruzioni più accreditate dagli storici contemporanei sul rifiuto delle domande di grazia per Galeazzo Ciano e gli altri congiurati del 25 luglio 1943.
Star incontrastata del primo cinema a luci rosse italiano oltre trenta titoli all’attivo con il nome d’arte di Mark Shanon , Cersosimo ribadisce quanto scritto nell’immediato dopoguerra in un libro di memorie (Dall’istruttoria alla fucilazione. Storia del processo di Verona, 1949) dal padre Vincenzo.
«Mio padre racconta l’ex attore presentò le domande di grazia e le domande di grazia rimasero nel cassetto. E questo è un aneddoto che racconto proprio con orgoglio, perché mio padre sapeva esattamente chi fu che non mandò le domande di grazia e non lo disse.
“Ci sono i figli dei condannati a morte ancora vivi diceva , e non è giusto che sappiano queste cose”. Mio padre diceva anche che questa era stata una cosa pazzesca, perché un De Bono, che aveva ottantadue anni, non si fucila…
Pareschi o Gottardi, non mi ricordo, era sordo completamente e rideva quando gli altri ridevano, infatti lo pigliavano in giro, e non sapeva nemmeno di che cosa parlavano. E si trovò a votare, il 25 luglio 1943, l’ordine del giorno di Grandi…
Io poi ne so poco di questa vicenda, perché papà non ne voleva mai parlare, quel poco che so, lo so dal libro e poi dal fatto che papà non ha mai voluto dire chi è stato che non ha voluto presentare le domande di grazia.
Sono rimaste nel cassetto e loro sono stati fucilati».
Una testimonianza, questa di Manlio Cersosimo, che rimette in discussione la vulgata storica su uno degli episodi più controversi e discussi della fine del regime fascista.
A Viterbo «Cine70» può essere acquistato presso l’edicola-libreria “Rivistando” in via Mazzini