Speciale Santa Rosa - Le dinastie familiari L'Ottocento dei Papini, Bordoni e Spadini di Mauro Galeotti
Viterbo 20 agosto 2005 ore 11,20
Angelo Papini
Della Macchina del 1820 è conservato al Museo civico il bozzetto a tempera, acquerello e china, autore è Angelo Papini. Questo suo trasporto, il primo di una lunga serie, ebbe un tragico epilogo, infatti la Macchina cadde avanti alla Chiesa di santEgidio. Per fortuna nessuno venne ferito assai gravemente, solo Paolo Nanni restò storpio per la rottura di una coscia. Egli venne accusato di aver abbandonato la sua postazione, ma una volta chiarito il comportamento del facchino, il Comune gli concesse un sussidio, per più anni, di diciotto scudi.
Leggo dalle Memorie di padre Pio Semeria:
«Nella sera del dì 3 di settembre [1820] la Macchina di S. Rosa, più alta del consueto [infatti, Virgilio Papini, nel 1948, dichiara sul giornale Il Messaggero, che fu elevata da sei a sedici metri], urtò più volte nelle gronde dei tetti, e finalmente [sic!] cadde vicino alla Chiesa di S. Egidio».
Scrive Francesco Cristofori, sul suo giornale Viterbo del 17 Dicembre 1905, in merito ad una singolare invenzione del Papini, si trattava delle zampe della Macchina regolabili nellaltezza, grazie ad un sistema a vite:
«Però da quellanno [1820] in poi, grazie ai piedi levatoi, inventati da Angelo Papini, ogni pericolo di caduta fu scongiurato. E così nessuna disgrazia si ebbe più a deplorare, ed il buon popolo viterbese poté, con la massima tranquillità danimo acclamare ogni anno il passaggio trionfale della cosa di cui va più orgoglioso: la macchina di S. Rosa».
E questo il periodo in cui la Macchina venne modificata allincirca ogni anno, autore è sempre Angelo Papini. I suoi progetti a tempera, china e acquerello sono conservati al Museo e si riferiscono agli anni 1821 e 1824. Lanno precedente non fu possibile trasportare la Macchina per la morte di papa Pio VII, avvenuta il 20 Agosto 1823.
Altri disegni di Papini sono degli anni 1825, 1826, 1827, in questultimo appaiono raffigurati per la prima volta anche i facchini che sostengono la mole trionfale.
In quegli anni la Macchina costava: duecentosettanta scudi nel 1823, trecento nel 1826 ed era illuminata da centoventi torce e centotrenta candelotti, che nel 1828 aumentarono a trecentocinquanta ceri. In basso al disegno della Macchina di santa Rosa del 1826 è scritto a penna:
Prospetto geometrico della gran Mole trionfale di S. Rosa di Viterbo / per lanno 1826 - Al merito di S. E. il sig(no)r Gonfaloniere, ed Ill(ustrissi)mi signori anziani della Città / Angelo Papini inv. off. dedic[ò].
Il prospetto della medesima Macchina fu anche realizzato a stampa con lastra di rame, nella parte bassa è la scritta:
Angelo Papini inventò / Prospetto geometrico / della gran mole trionfale di S. Rosa di Viterbo / A S. E. il sig. Giulio Zelli Pazzaglia / Cav(alier)e dellOrdine di S. Stefano, P. e M. della Legione dOnore, / e di altri Ordini, Ciambellano di S. A. I. e R. il Gran Duca / di Toscana &c. &c. &c. delle belle Arti amatore e proteggitore / Domenico Corsi in segno di vera stima e servitù D.D.D.
Al centro della dedica è lo stemma Zelli Pazzaglia.
Renzo Biaggi possiede una stampa di questa Macchina dedicata da Cesare Dolci a Pio IX (1846 - 1878), leggo:
Prospetto geometrico / della gran mole trionfale di S.ª Rosa di Viterbo / Don Cesare Dolci Suddito fedele della Santità di Nostro Sig.re Pio Nono felicemente Regnante dedica e si è / arbitrato in atto dossequio e venerazione.
Angelo Papini inventò.
A differenza di altre simili stampe, qui la mole è proposta tra due ale di fabbricati e con alcuni fedeli in preghiera.
Ancora disegni del Papini si hanno nel 1828, nel 1829 e nel 1830 in cui viene presentato il primo progetto della Macchina realizzato a colori.
Il modello della Macchina del 1828, a differenza di quanto asserisce Francesco Cristofori, sembrerebbe quello in cui la Macchina stessa si presentò con quattro viti, una per ogni angolo, per essere appoggiata in terra in caso di pericolo.
Lanonimo estensore de La Rosa strenna viterbese per lanno 1875, riferisce, parlando di Angelo Papini:
«Questi nel 1828 concepì un disegno di stile detto ugualmente gotico, che sembrò meglio adattarsi a questa mole svelta ed acuta e prestarsi meglio alla moltiplicità degli ornati più che nol fosse qualunque altro ordine. Conteneva 100 colonne di varie dimensioni, 24 piramidi, 30 statue, 350 lumi di cera».
Leggo quanto scrive Giovanni Selli sul suo libro su santa Rosa, edito nel 1828, in cui viene specificato che la Macchina, prima di entrare in Piazza delle Erbe, deve essere ruotata dai facchini per entrarvi di fianco:
«Dopo un breve intervallo di tempo [dei facchini in Piazza del Comune] il capo di quei gagliardi li dispone di bel nuovo per continuare il mirabile trasporto, e alla invocazione della Santa proseguono coraggiosamente il divisato cammino. Ma oimè, che langustia della strada detta la calzolaria [Via Roma] non permette al trionfale convoglio il passarvi di fronte.
Laonde i vigorosi atleti [i facchini] giunti a quel punto sono obbligati a voltarsi di fianco, e così camminare con maggiore incomodo per lo spazio di alcune canne: bello è il vedere quella torre ambulante, che si gira e si rivolta come sopra di un perno per adattarsi alla ristrettezza della via.
Giunti finalmente sulla piazza delle erbe ripigliano nuovamente lordine e il primitivo procedimento con universale ammirazione, sinchè trapassata tutta la via della svolta giungono a S. Rosa dipinta ove il sorprendente colosso si posa per la seconda volta. Colassù è il tempio: si vede già il luogo della prefissa meta; ma la salita è ardua: i facchini sono stanchi dalla pregressa fatica. Santa Rosa infonde nei loro petti di bronzo una forza straordinaria, ed incollatasi nuovamente la pesantissima mole in pochissimi istanti la trasportano sulla piazza del suo sagro tempio. Ivi la collocano sopra i cavalletti dirimpetto alla porta maggiore del monastero.
Gli applausi, gli evviva,, le acclamazioni, le lagrime di tenerezza, che versa limmenso popolo non si possono descrivere con parole. Bisogna trovarsi presente al sorprendente spettacolo per poterne formare idea giusta ed adeguata».
Poi descrive la caratteristiche tecniche della Macchina:
«è alta palmi architettonici 70, e larga palmi 21. Queste dimensioni sono fisse ed inalterabili, a causa delle strade per cui deve passare.
Tutto il materiale è di legno ben solido con fermezze e catene di ferro. Lesterna superficie è formata di tela o di cotone vagamente dorato e dipinto. Il peso totale della medesima è di libbre otto mila; sostiene inoltre 700 libbre di cera.
Il disegno e le pitture sono variabili in tutti gli anni; ma le parti propriamente costituenti possono ridursi a quelle, che ora descrivo. Sopra un solido basamento, che forma linfima parte della gran mole si erge un maschio cinto alle volte da un ordine di colonne o di pilastri, ovvero da varie statue di rilievo di gigantesca grandezza, situate in diversa attitudine secondo lidea dellartista inventore. Segue un cornicione di diverso ordine di architettura, e sopra quello sinnalza un tempietto ove si osserva la gloriosissima Santa, rappresentante qualche punto più cospicuo delle sue mirabili gesta.
Gli ornamenti e il finale del tempietto sono i più vaghi e i più sorprendenti. Già da molti anni il disegno e lesecuzione della macchina è commesso al sig. Angelo Papini pittore viterbese di molta abilità. Falegname macchinista è Luigi Morini, incaricato del trasporto come capo dei facchini è Vincenzo Gerbi».
E del 1829 una stampa della raccolta di Renzo Biaggi, che riproduce la Macchina, dedicata da Angelo Papini al governatore Benedetto Capelletti.
Altri disegni in Museo di Angelo Papini sono degli anni 1831, 1832, 1833, due del 1836, uno del 1837 quando la Macchina è rinviata per lepidemia di colera che aveva colpito la Capitale e anche la nostra città, questo modello sarà ripetuto fino al 1839. In basso al disegno della Macchina di santa Rosa del 1831 è scritto a penna:
Prospetto geometrico della Machina di S. Rosa di Viterbo per lanno 1831 Angelo Papini.
Nel disegno ad acquerello e tempera, del 1832, è scritto a penna:
Trasporto della Macchina di S. Rosa di Viterbo veduta nel punto della Piazza di Fontana Grande. / A S.E. il sig. conte Tommaso Fani Ciotti commendatore dellordine di S. Gregorio Magno, cav(alier)e dellOrdine de S. S. Maurizio / e Lazzaro, gentiluomo di Camera, onorario di [S.A. i]l Re di Sardegna, gonfaloniere della Città di Viterbo / [Angel]o Papini inventore O.D.D. / 1832.
Al centro della scritta è lo stemma Fani Ciotti.
In un manifesto del 14 Agosto 1834 il gonfaloniere Domenico Polidori pubblicò il programma per la Festa di santa Rosa e di san Crescenziano martire, «nellanniversario della traslazione dei loro Sacri Corpi».
Oltre il passaggio della Macchina erano previsti, le corse di cavalli, lincendio della Macchina a scheletro in Piazza della Rocca, e «l8 Settembre al mezzo giorno il suono festivo dei sacri bronzi annunzierà lapertura della Festa di S. Crescenziano Martire. Alle 5 pomeridiane nella Ven. Chiesa della Visitazione, ove si venera il di lui Sacro Corpo si canteranno i solenni primi Vesperi in Musica».
Nello stesso anno fu proposto di rifare la tettoia, che copriva la Macchina, perché assai deteriorata e pericolante.
Una stampa incisa da Emmanuele Perniè della Macchina realizzata nel 1835, che fa parte della raccolta di Renzo Biaggi, è dedicata al cardinale Paolo Polidori del quale è riprodotto lo stemma.
Unaltra del 1839 invece e dedicata al delegato apostolico Giacomo Antonelli.
Giuseppe Marocco, nel 1837, scrive:
«Nel lato interno della porta romana si vede il locale ove si custodisce la macchina con cui si porta in processione s. Rosa di Viterbo».
In basso al disegno della Macchina di santa Rosa del 1837 è scritto a penna:
Prospetto della grandiosa mole trionfale di S. Rosa costruita per il trasporto dellanno [1837]. / A sua Eccel(lenz)a Re(verendissi)ma m(onsign)or Giacomo Antonelli / delegato apostolico di Viterbo / Angelo Papini di Viterbo inventore ed esecutore / O. D. D.
Stefano Camilli, nel 1840, descrive così la Macchina:
«La ricorrenza poi di tale traslazione [quella del corpo di santa Rosa] si solennizza nel giorno 4 Settembre di cadaun anno con musiche sacre, e marziali, con processione, fuochi artificiali, corse, ed altri spettacoli pubblici fra i quali è sorprendentissimo la costruzione di una Machina di mole trionfale sempre di nuova forma, e disegno, che in altezza sorpassa le più alte abitazioni, e decorata de più fulgidi ornati, e copiose faci vien trasportata a dosso duomini sul tratto di circa un miglio in mezzo allaffluenza di copiosissimo popolo della Città, della Provincia, e desteri paesi».
Nel disegno della Macchina del 1841, alta quattordici metri e mezzo, sono raffigurati anche il capo facchino e le guide, è questo il modello che il 3 Ottobre fu trasportato in onore di papa Gregorio XVI, che ammirò la Macchina da un palco apposta allestito, in rettifilo con lattuale Via Cavour.
Le prime file dei facchini, che hanno raggiunto il numero di quarantacinque, giunti con la Macchina in Piazza del Comune, su ordine di Angelo Papini, piegarono un po le gambe per far fare un inchino alla mole davanti al papa, il quale rimase stupito assieme ai presenti.
Per loccasione, come ho riferito, il Comune coniò una medaglia con leffige del papa ed il suo nome intorno e dalla parte opposta la scritta:
Sanctissimi / principis adventu / S.P.Q. Viterbiensis / A. MDCCCXLI.
Il calco in acciaio della medaglia trovo notizia che venne conservato al Museo civico.
In basso al disegno della Macchina di santa Rosa del 1841 è scritto a penna:
Prospetto della torreggiante mole solita costruirsi in ogni anno di nuovo disegno [ ] S. Rosa di Viterbo. Il trasporto solenne accade i 3 Settembre vigilia della [ ] mons. Girolamo de marchesi DAndrea delegato apostolico di Viterbo / Angelo Papini inventore ed esecutore O. D. D 1841.
Al centro della scritta è lo stemma DAndrea.
Altri disegni, opera di Angelo Papini, giunti fino a noi, sono degli anni 1842, 1843, 1844, 1845, quando la Macchina, per i lavori di costruzione della Chiesa di santa Rosa, venne portata fino a Piazza della Rocca.
Nel disegno a tempera acquerello oro ed inchiostro del 1843 è scritto a penna:
Veduta del trasporto solenne della Macchina di S. Rosa, dal punto, che dalla Piazza / del Commune muove, verso quella delle Erbe. Per lanno 1843 / Angelo Papini inventò e costrusse.
Nel disegno del 1844 con lo stemma Pocci, è scritto:
A sua eccellenza il conte Cesare Pocci / gonfaloni[ere] della Città di Viterbo / Angelo Papini inventore ed esecutore O.D.D. / 1844.
Papini disegnò anche il progetto del 1846; in quellanno la mole venne fermata a Piazza della Vittoria, allepoca Piazza dellOca, e realizzò anche quelli degli anni 1847, 1848 e 1849.
Nella metà del secolo XIX la Festa di S. Rosa vergine si svolgeva nei giorni 3, 4, 5 e 6 Settembre. Ad esempio, con manifesto del 3 Agosto 1845, veniva comunicato dal gonfaloniere Cesare Pocci il seguente programma: il primo giorno, al suono della campana della Torre del Comune e al rombo delle artiglierie, si dava inizio alle solennità con i primi Vesperi celebrati nella Chiesa di san Lorenzo, ove si teneva anche un concerto, poi alle «ore 8 pomeridiane lAutorità Municipale, la Truppa Civica egli altri Corpi di guarnigione decoreranno il trasporto della trionfale Macchina di S. Rosa».
Il giorno successivo, alle ore 9, le autorità governative, municipali e i vari corpi militari, sempre a san Lorenzo, assistevano alla messa pontificale con musica.
Alle ore 3 pomeridiane in Via Cavour, lallora Strada Nova, veniva effettuata la corsa dei cavalli con fantino, poi alle 5 di nuovo si cantavano i Vesperi con musica e alle 6 era prevista ancora una corsa di cavalli Barberi, che da Porta Fiorentina giungeva a Piazza del Comune.
Alle 8 di sera venivano poi sparati i fuochi artificiali in Piazza della Rocca caratterizzati, quellanno, da «una magnifica prospettiva rappresentante una Badia del medio evo».
Il giorno 5, alle ore 11, dallAccademia degli Ardenti nella Sala regia del Palazzo dei priori, ove risiedeva, venivano celebrate le gesta di santa Rosa e alle ore 6 pomeridiane si svolgeva unaltra corsa di cavalli Barberi lungo il viale che conduce alla Quercia.
Il giorno 6, infine, alle 4 e mezza del pomeriggio avveniva lestrazione della Tombola in Piazza del Comune, con incendio del fuoco dartificio alle 8 sulla piazza stessa, non mancavano inoltre gli appuntamenti operistici.
In altri anni, ad esempio nel 1829, tra le varie attrazioni veniva illuminata la città, si procedeva allincendio del «fuoco dartificio lavorato, e diretto da celebre fuochista romano, e disposto sopra una macchina di nuovo disegno, ed invenzione». Veniva effettuata, inoltre, in Piazza del Comune la giostra delle bufale e dei tori; in seguito, tra la fine dell800 e inizi del 900, si teneva fuori Porta Fiorentina. Il gioco dei giostratori consisteva nellatterrare la vaccina o il bufalo con la sola forza delle braccia afferrandogli le corna.
Scrive Carlo Antonio Morini sul suo Straccifojo:
«Addì 22 settembre 1853 nella piazza della Commune a Viterbo vi fu la giostra di bufele vaccine e due torette giostrate da due ragazzi. Cominciorno la giostra alle due e mezzo doppo mezzogiorno.
A ore tre e mezzo cadde un palco accanto al cantone del Guverno infino alle colonne con molte gente sopre. Gran quantità de gente rovinate e due con rotte le osse ma non morte.
Alle ore 4 doppo ameridiane nella stessa piazza vi fu il gioco della tommola col premio napolioni ducentocinquanta e poi ricominciò la giostra e terminò alle ore 6 di sera. Così fenì il divertimento».
La giostra delle bufale e delle vaccine fu soppressa nel 1849 perché, scrive Andrea Pila, Commissario pontificio straordinario, «glindividui soltanto irreflessivi, e di non molta educazione ornati, possono trovar piacere, e diletto nel vedere uomini senza considerazione esporsi ai più gravi pericoli per lottare con bestie indomite».
Nel 1850 morì Angelo Papini e venne riproposta la Macchina del 1840 che fu guidata dalla moglie Rosa la quale venne coadiuvata dai figlioli.
E la prima volta che una donna si pone alla guida della Macchina.
Rosa Papini nel 1851 presentò il modello della Macchina di santa Rosa disegnato dal figlio Raffaele, che venne approvato dal Comune. Nel 1852 fu riproposto dalla donna il modello della Macchina, disegnato dal marito, sfilato nel 1825.
Nel 1853 ripropose il modello del 1830 e nel 1854 quello del 1842.
Vincenzo Bordoni
Nel 1855 subentrò un altro costruttore, lo scultore Vincenzo Bordoni, il quale aveva studiato allAccademia di Belle Arti di Roma, questi realizzò sette Macchine, in sette anni successivi, fino al 1861. Il trasporto del 1855 fu rinviato al 4 Settembre per il cadere della pioggia, costò al Comune quattrocento scudi.
Non dovette correre una buona relazione tra i costruttori, infatti Bordoni fu in discussione con la famiglia Papini, perché questultima si rifiutò di dargli lo zoccolo e gli utensili necessari per la costruzione della Macchina.
Nel progetto del 1856 è la scritta: Vincenzo Bordoni inventò e disegnò / nel 1856.
Il 3 Settembre 1857 la Macchina di Bordoni, alta tredici metri e quaranta centimetri, fu trasportata alla presenza di papa Pio IX che poté ammirarla dalla prima finestra a destra del primo piano del Palazzo dei priori, alla quale fu tolta la colonnina centrale per consentire al pontefice una migliore visione della manifestazione.
La Macchina, grazie ai facchini delle prime file che piegarono le gambe, si inclinò in avanti a mò di inchino ed il papa fu talmente entusiasta che ammise i cinquantatre facchini ed il costruttore al bacio del piede.
Così leggo sulla Memoria per la venuta di papa Pio IX:
«Questa gigantesca mole disegno e lavoro del Sig. Vincenzo Bordoni portata a spalla da cinquantatrè uomini, di stile gotico tedesco sopra una base quadrata di 18 palmi, si innalzava fino a 60: sullo zoccolo ornato a mosaico sorgea il piedestallo, nella faccia anteriore due Fame alate sostenevano lo stemma del Sommo Pontefice in bassorilievo trasparente a colori e in oro, e nelle faccie laterali erano le seguenti iscrizioni del sullodato Professor Ceccotti Prega!
Di stolti voti impor non osi - argomento la terra a sua preghiera - il pastore e lovil che agli operosi - suoi giorni amò rammenta in quella sfera ---- Di amor sullali in Dio levata e fisa - ode fragor di turbo e di procelle - prega! E già la nemica ira è conquisa - pastor sereno è il ciel pasci le agnelle.
Sulle faccie de pidistallini sono a bassorilievo gli emblemi del Comune di Viterbo, ed avanti a questi sullo zoccolo quattro statue figuranti le virtù Cardinali».
Più avanti la medesima memoria riferisce, dopo varie visite al pontefice, quella avvenuta il 4 Settembre:
«Per ultimo fu ricevuto il Sig. Giovanni Augusto Mercati meccanico Viterbese, il quale offerse alla vista del S. Padre una graziosa macchinetta di S. Rosa, sulla quale egli ha lavorato 15 anni.
Questa machinetta tutto suo disegno e lavoro ha 63 centim. di altezza, la base quadrata ha centim. 15,6 di larghezza, ed i facchini centim. 5,7 di altezza.
E composta tutta di legno a colore naturale, di stile gotico, minutamente ed elegantemente intagliata.
Posta allaspetto del S. Padre, e toccata dal fabbricatore una molla, si mossero a passo i facchini sostenenti la macchina, e questa voltavasi, e giravasi a piacere del suo autore, tantochè S.S. tenendosene soddisfatta gli diresse parole di rallegramento e dincoraggiamento e regalollo di preziosa medaglia doro».
Nel 1858 nel disegno riproducente la Macchina è la scritta:
1858 Vincenzo Bordoni inv(entore) ed esecutore.
Tutti i progetti delle Macchine di santa Rosa realizzati da Vincenzo Bordoni sono conservati al Museo civico.
Gaetano Spadini
Un nuovo nome tra i costruttori appare nel 1862 è Gaetano Spadini che vinse sul pittore Pier Felice Papini; aveva formato la sua arte studiando a Roma. Tra Spadini ed il Comune si stilò un contratto ove vennero definite le modalità del trasporto, luci e fermate. Il compenso era di quattrocento scudi da versare in quattro rate. Intanto, però, in quellanno, per una violenta bufera di pioggia, non fu possibile trasportare la Macchina il 3 Settembre, lavvenimento fu spostato al 7 seguente.
Una stampa, della raccolta di Renzo Biaggi, riproduce la Macchina con la scritta:
Grandiosa mole, trasportata trionfalmente in onore di S. Rosa V[ergine] Viterbese nellanno 1862 / disegnata ed eseguita da Gaetano Spadini.
Esistono al Museo civico i disegni delle Macchine degli anni 1862, 1863, 1864, 1865, questultimo modello fu riproposto nel 1866. Vi è anche il disegno del 1869, ripetuto nel 1870, e quello del 1871 che venne trasportato anche lanno successivo.
Il passaggio della Macchina del 1867 non fu eseguito il 3 Settembre a causa dei moti garibaldini, infatti si decise di farla trasportare il 17 Novembre, ma per il cattivo tempo, il giorno fu spostato al 21.
Scrive Carlo Antonio Morini sul suo Straccifojo:
«Addì 3 settembre 1867 domenica a sera a una ora di notte vi doveva essere la traslazione della Machena di Santa Rosa nostra concittadina di Viterbo. Non andiede quella sera come sopra per càvose de gattivo tempo.
Il adera una bella giornata.
Il machinista, [ossia il costruttore della Macchina di santa Rosa] Gaetano Spadine metteva in ordine tutta la Machena per la sera. Il machinista Spadine ebbe ordine, che si dice era venuto da Roma, che si sospendesse la traslazione della Machena.
Il detto giorno alle ore 10 e mezzo avante meridiane incominciorno a leva larmatura de la Machena.
Dopo poco mezzora andava a spasso a cavallo il generale francese e compagnia e vidde la Machena scoperta e li piacche molto, dicendo a Spadine il generale: mandarla. La mattina del giorno appresso Gaetano Spadine ebbe lordine del Guverno di mettere tutto quello che aveva tirato e la Machena andiede».
Il 20 Gennaio 1872 il pittore Pier Felice Papini inviò una lettera di protesta al Comune, nella quale contestava laggiudicazione a Gaetano Spadini della costruzione della Macchina di ben dieci anni prima, il 4 Febbraio 1862, e suggerì di far valutare il disegno suo e di Spadini ad «un nuovo giudizio artistico da affidarsi in Roma a persone competenti e coscenziose, non per essere preferito alla esecuzione, come la S.V. si esprime, ma solo per un atto di giustizia reclamato dal mio onore offeso.
Non basta di avermi recato un danno nellinteresse anche mi vogliono ricoprire di unonta che solo la loro spudoratezza poteva scagliarmi a quel confronto».
Il pittore chiese anche agli amministratori comunali di dimettersi «e gli assicuriamo che farebbero cosa grata a tutti gli onesti cittadini, allintera popolazione ed al Governo, ridonando in tal modo la pace a tutti i partiti» e concluse «In quanto a me farò quello che mi parrà e piacerà in proposito alla vertenza di cui sopra, senza il permesso de superiori, già sintende».
Nel 1873 venne portata ancora la Macchina ideata da Gaetano Spadini, il quale ebbe per collaboratore il figlio Giovan Battista, poi il Comune decise il 30 Settembre, forse anche per la pepata lettera di Pier Felice Papini, di effettuare un concorso al quale perteciparono Gaetano e Giovan Battista Spadini, con cinque modelli di Macchine, e Pier Felice e Paolo Papini che ne presentarono quattro.
Ma questa volta fu la famiglia Spadini che non si sentì tutelata dai membri che componevano la commissione che deveva scegliere la nuova Macchina, perché riteneva alcuni suoi componenti sospetti di parzialità. Infatti, Pier Felice Papini era considerato un patriota e Gaetano Spadini, più vicino al papa, visto che era stato lultimo costruttore sotto tale dominio.
Fatto sta che i timori degli Spadini divennero realtà e il modello scelto per la nuova Macchina fu uno di quelli realizzati dai Papini.
Ritorno dei Papini
Quindi col 1874 ritornò la famiglia Papini, per almeno sei anni, con Paolo Papini (Viterbo 1840 - 1897) e il padre di lui Pier Felice (Viterbo 1811 - 1876), poi dal 1876 proseguì solo Paolo. La spesa prevista fu di seimila lire ogni triennio, visto che la Macchina doveva essere modificata dopo tre anni.
Giorgio Falcioni scrive di un incontro, avvenuto nel Caffè Schenardi, dopo la scelta dei Papini a costruttori della Macchina, tra Giovan Battista Spadini e Paolo Papini i quali, dopo uno scontro verbale, passarono ai bastoni dandosele di santa ragione, ognuno certo delle proprie opinioni.
Nel 1874 si era creato un problema in merito al pagamento del compenso dei facchini da parte delle monache di santa Rosa, infatti queste, negli anni precedenti, si erano impegnate a dare un compenso di cinquantatre lire ai portatori della Macchina, se questultima fosse stata condotta fino alla Chiesa di santa Rosa.
Ma con la soppressione dei beni ecclesiastici le monache non avevano più disponibilità di danaro e allora la cosa fu discussa in Consiglio comunale.
Si raggiunse lintesa che il Comune doveva pagare la somma ai facchini col patto però che la girata della Macchina su se stessa, che prima avveniva in Piazza santa Rosa dipinta, da allora in poi fosse effettuata in Piazza del Comune.
La Macchina del 1874, secondo quanto riferisce lanonimo estensore de La Rosa, strenna del 1875, pesava «Chilogrammi 3666; la sola base quadrata, o zoccolo, pesa Chilogrammi 1333. La sua altezza giunge circa ai 16 metri. Linterno di essa è di travi e assi di legno validamente connessi che dalla base ascendono fino alla cima; lestrinseco poi e tutto ciò che forma la decorazione non è che tela e carta conformate ad ogni specie di figure, fregi, rilievi ecc. [ ].
La costruzione della Macchina porta seco un continuo lavorio di circa 8 mesi, e il Municipio vi spende Lire 2800».
In effetti però non sempre la spesa per la realizzazione della Macchina fu a carico del Comune, infatti nel Settecento alle spese vi si avvicendavano i nobili della città. Addirittura ai primi di quel secolo il Municipio aveva stabilito una multa di cinquanta scudi per il nobile che, eletto Signore della Festa di santa Rosa, si fosse rifiutato di assumerne lincarico.
Ancora lanonimo riferisce:
«avanti il palazzo dei Signori Conti Fani - Ciotti, i facchini fanno girare meravigliosamente la macchina intorno a se stessa; e ciò per una costumanza che si pratica fin dal 1835 (?), quando il fu Conte Comm. Tommaso Fani - Ciotti fu eletto a Gonfaloniere della Città».
Pier Felice Papini nel 1876 passò, come si suol dire, a miglior vita e proseguì la tradizione il figlio Paolo.
Nel 1877 la Macchina, nel tratto tra le Chiese di santa Maria del Suffragio e di santEgidio, toccò una gronda e la fece cadere; nel 1878, invece, il trasporto per il forte vento, venne effettuato il 5 Settembre.
Lanno successivo venne bandito il concorso per la realizzazione della Macchina e si presentò solamente Paolo Papini con tre progetti. La commissione, composta dal pittore Pietro Vanni, dagli ingegneri Enrico Calandrelli e Giuseppe Badia, ne scelse uno raccomandando di realizzare lopera alleggerendo il peso e di prestare particolare attenzione alle dimensioni della base per evitare urti lungo il percorso.
Al Museo civico sono conservati i disegni della Macchina di santa Rosa eseguiti da Paolo Papini relativi agli anni 1874; 1876; 1883; 1886, questo modello fu ripetuto nel 1887 e nel 1888; 1889, trasportato anche nel 1890 e nel 1891; 1892, il modello venne riproposto nel 1893 e nel 1894; 1895, a questultimo modello collaborò anche il figlio Virgilio ed è stata questa la prima Macchina che venne illuminata anche con luci elettriche.
Nel 1884 il trasporto non venne effettuato per lo scoppio di una epidemia di colera e la sera del 3 Settembre 1885 la Macchina, ferma davanti alla Chiesa di santa Rosa, venne danneggiata seriamente da una pioggia dirompente. Fu questa loccasione per Paolo Papini di avanzare la proposta al Comune di rinnovare la Macchina, anche in occasione del nuovo collegamento ferroviario con la Capitale, che avrebbe portato numerosi visitatori a Viterbo.
La Macchina fu rinnovata e la retribuzione di cinquanta lire ai facchini, venne corrisposta dal Comune anziché dal costruttore.
Scrive nel 1889 Giuseppe Ferdinando Egidi, che ai suoi tempi la Macchina era alta sedici metri e che «pesa da 1400 Chilogrammi ed è portata a spalle da 40 persone chiamate facchini - è uno spettacolo meraviglioso: la sera a unora dopo lAve-Maria la macchina, decorata artisticamente e illuminata a profusione, discende come una torre mobile da piazza S. Sisto ove si costruisce [ ].
Mirabile è vedere leffetto del primo muoversi della macchina, il giro su sè stessa che i facchini le fanno fare innanzi al Palazzo Fani-Ciotti, e soprattutto il rapidissimo salire di corsa su per la via erta e malagevole di S. Rosa».
Nel 1892 il Comune rinnovò per tre anni lappalto al Papini, ma Enrico Spadini protestò e chiese che fosse bandito un concorso pubblico.
Linfluenza dei Papini era però tale, che il Consiglio comunale, decise di non tener conto della pur giusta richiesta, facendo intendere che essendo ormai un secolo che i Papini costruivano la Macchina, era pertanto scontato che fossero loro stessi a proseguire la tradizione.
In quellanno la Macchina era stata costruita superando di un metro e mezzo le precedenti e vi fu installata la luce al magnesio. Ma alcune perplessità vennero avanzate dal costruttore che fece, qualche giorno prima, una prova del trasporto e in verità dimostrò che leffetto della luce delle candele veniva annientato da quella del magnesio. Fu così utilizzato il nuovo sistema solo per qualche sprazzo luminoso durante le soste.
Il 3 Settembre 1893 una pioggia scrosciante impedì il trasporto e fu davvero una fortuna, perché si venne a scoprire, solo successivamente, che certi anarchici erano intenzionati a lanciare bombe contro la Macchina, perché volevano fosse liberato dalla prigionia un loro compagno.
Nel 1894 si decise di rinnovare la Macchina che doveva essere trasportata per almeno cinque anni consecutivi, questo per contenere le spese di realizzazione, infatti il costo dal 1895 al 1899 doveva essere di 10.200 lire, di cui 3.400 lire da versare il primo anno ed il restante diviso in parti uguali, anno dopo anno. Vinse il concorso Paolo Papini il quale nominò quale eventuale sostituto, in caso di sua morte, il figlio Virgilio, come era stato disposto dallappalto.
Mi piace ora riportare quanto scrive De Kerval della Macchina nella sua storia di santa Rosa stampata nel 1921, è una nota di colore non indifferente:
«Fin dalla vigilia la folla riempie le vie, assedia le vicinanze della chiesa consacrata alla Santa si spinge e si schiaccia intorno allurna in cui riposa il suo corpo in mezzo ai fiori. La sera, dopo i primi Vespri, cantati, secondo luso italiano, da cori appartenenti alle principali cappelle di Roma, quando è scesa completamente la notte, si compie una cerimonia pittoresca e caratteristica.
Presso la Porta Romana, non lungi da S. Sisto, si innalza un immenso monumento di legno, scolpito e di cartone dipinto, vero capolavoro artistico in forma di torre, sormontato dalla statua della Santa. Centinaia di luci la illuminano disegnandone tutti i contorni: è la macchina trionfale di S. Rosa. Ad un dato segnale una sessantina duomini vigorosi e ben esercitati sollevano sulle loro spalle il pesante monumento e, così portato, esso savanza allora lentamente e maestosamente per le vie illuminate a giorno, preceduto dalla musica, scortato da una compagnia di soldati, seguito da una gran moltitudine compatta e entusiasta, in cui si confondono tutte le classi sociali.
Allarrivo della macchina sulla piazza del Palazzo Comunale, il popolo scoppia da ogni parte in applausi, acclamando così, dopo sei secoli e mezzo, questa concittadina del XIII secolo, che né il tempo né le rivoluzioni gli han fatto dimenticare.
Dopo una breve fermata i portatori si rimettono in cammino, e attraverso le più importanti vie della città, il monumento vien portato fino sulla piazza contigua alla chiesa di S. Rosa, dove rimane esposto tutto il giorno dopo».
E continua in nota:
«Nel 1895, la macchina di S. Rosa che noi abbiamo potuto ammirare aveva circa 17 metri daltezza, 4 metri quadrati di base, era illuminata da 250 candele con globi di vetro e da 100 lampade elettriche.
Veniva portata da sessantadue facchini. Oltre il gruppo della parte superiore (rappresentante S. Rosa e la fanciulla con la secchia rotta), il monumento era decorato da diverse statue dangeli e di santi, oltre che da dipinti rappresentanti alcuni episodi della storia della Santa».
Nel trasporto di questo primo anno, lilluminazione deluse i Viterbesi, a tal punto da ritornare ai vecchi sistemi, infatti, nel 1896 furono installati seicento lumi così suddivisi: quaranta torce a cera, cinquanta fiaccolotti, centocinquanta lumi a spirale, duecento candele e centosessanta lumi con campane colorate.
Nel 1896 venne trasportata la Macchina dellanno precedente e nel 1897, alla morte di Paolo Papini subentrò, come previsto, il figlio Virgilio che portò a termine il contratto col Comune che scadeva nel 1899. Sfortunato fu questultimo trasporto, infatti, alla mossa cadde il cupolino che fu ripristinato alla meno peggio.
In Piazza del Comune però presero fuoco i capelli della statua di santa Rosa e con loro la statua stessa, lincendio venne spento da Luigi Luzi, Piacentini e Papinio Papini. La Macchina riprese il cammino e raggiunse la meta.