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Processo Gradoli - Il Pm Petroselli ha chiesto l'ergastolo per i due imputati, dopo quattro ore di requisitoria
"Chi le ha uccise, se non loro?"
di Stefania Moretti
Viterbo - 15 aprile 2011 - ore 1,30

Madre e figlia scomparse
Dossier Gradoli
Il pm Renzo Petroselli
I legali di parte civile Luigi Sini e Claudia Polacchi
Gli imputati Paolo Esposito e Ala Ceoban con i loro difensori
Il brigadiere Camillo Mingione, sentito come teste prima dell'inizio della requisitoria
- "Oggi Tatiana avrebbe compiuto trentotto anni, se fosse stata ancora viva".

Si è aperta così la requisitoria del pm Renzo Petroselli.

Nel giorno del compleanno di Tatiana Ceoban, la pubblica accusa del processo Gradoli tira le somme dell'indagine sulla scomparsa di madre e figlia e, in quattro ore, ripercorre l'intera vicenda, confutando tesi e scartando ipotesi. Prima tra tutte, quella dell'allontanamento volontario.

"Elena e Tania non avevano motivo di andarsene - afferma il sostituto procuratore -. Lo dicono i datori di lavoro di Tania, le amiche, la gente del paese. In pieno disastro familiare, con il convivente che andava a letto con la sorella e voleva toglierle la figlia, l'unico posto da cui Tania voleva scappare era la villetta di via Cannicelle. Per fuggire da Esposito, non da Gradoli".

Il desiderio di Elena di andare a cercare il suo vero padre in Moldavia, per il pm, "esiste solo nella testa di quel bugiardo che è Esposito, che raccontato una balla dietro l'altra". E come lui Ala, che secondo il pm è capace anche di peggio, di "mentire anche quando tace".

Prima del processo, si è sempre avvalsa della facoltà di non rispondere. Ha parlato solo in aula, davanti alla Corte. E già questo, per il pm, è un chiaro indizio di colpevolezza, perché "se fosse stata innocente non avrebbe aspettato due anni per raccontare la sua verità".

Se il mantra delle difese, finora, è stato "il sangue è poco", anche il pm ne ha uno: "Elena e Tania non sono fuggite". Il 30 maggio 2009 Tatiana fa la sua vita di sempre, "come chi non sa che deve morire". Va a lavorare al mattino, e a Viterbo nel pomeriggio. Non fa prelievi in banca, in previsione di una fuga. Non porta via nulla da casa, "tranne - attacca l'accusa - le quattro carabattole che quel falso di Esposito vuol farci credere che mancano".

Dà appuntamento all'amica alle 18,30 e lo stesso fa Elena. Ma a quell'ora, per Petroselli, non ci arrivano.

Scartata l'ipotesi della fuga, del suicidio, della disgrazia accidentale, ne resta solo una: l'omicidio. "E chi, avrebbe potuto ucciderle, se non loro?", chiede a più riprese il pm. "Prima muore Elena, forse per strangolamento. Poi Tania, uccisa in cucina, accanto al frigorifero, probabilmente da una botta in testa".

I due hanno avuto l'intera notte del 30 e la mezza giornata del 31 per cancellare il sangue e nascondere i cadaveri. Ecco svelato il motivo che ha spinto Ala ad assentarsi dal lavoro per una notte, "cosa che - sottolinea il pm - non aveva mai fatto prima".

Il processo resta indiziario. Non ci sono confessioni degli imputati. Non c'è l'arma del delitto. Non ci sono i corpi. "Ma solo perché qualcuno ha avuto interesse a farli sparire. Su questo - spiega Petroselli - la Cassazione parla chiaro, così come i più noti casi di cronaca del momento: ci sono voluti 14 anni per trovare il cadavere di Elisa Claps".

Esposito non è "il grande incompreso", vittima di un complotto. Le uniche vittime, precisa l'accusa, sono Elena e Tania, "uccise dalla passione ossessiva dei due imputati", per i quali il pm, dopo quattro ore di requisitoria, chiede il massimo della pena: ergastolo per entrambi, senza attenuanti generiche e in isolamento diurno per i primi tre anni.


Processo Gradoli - Quattro ore di requisitoria del pubblico ministero
Chiesto l'ergastolo per Paolo e Ala
Viterbo - 14 aprile 2011 - ore 18,45


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