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Processo di Gradoli - Gli avvocati di Esposito puntano il dito contro il pm -Fotocronaca - Video
"Un metodo vergognoso"
di Stefania Moretti
Viterbo - 21 novembre 2010 - ore 3,35




Ala Ceoban
Paolo Esposito
Enrico e Maria Esposito
Alcune immagini dell'udienza di ieri mattina
Gli avvocati della difesa Enrico Valentini e Mario Rosati
Le immagini dell'uscita dei coniugi Esposito dal tribunale di Viterbo
Gli avvocati di parte civile Luigi Sini e Claudia Polacchi
Il capitano dei carabinieri di Tuscania, Massimo Cuneo, durante la testimonianza
Il brigadiere Camillo Mingione
L'avvocato Valentini
Ala e il suo avvocato Fabrizio Berna
Pierfrancesco Bruno, legale di Ala Ceoban
Il pm Renzo Petroselli
La corte presieduta dal giudice Maurizio Pacioni con Eugenio Turco
- Doveva essere un'udienza "di routine". (video)

Si è trasformata in un putiferio quando, nella sorpresa generale, sono arrivati gli avvisi di garanzia per i genitori di Paolo Esposito.

Un'evoluzione nel processo sul giallo di Gradoli che nessuno si aspettava e che ha fatto montare su tutte le furie gli avvocati dell'elettricista di Gradoli, accusato di aver ucciso la sua convivente Tatiana e la figlia Elena, insieme alla sua amante Ala Ceoban.

Tutto è successo in poco più di un'ora. L'udienza inizia alle 9,15. Il primo teste, il capitano dei carabinieri di Tuscania Massimo Cuneo, prende posto davanti alla corte e conclude la sua deposizione alle 10. (fotogallery1)

E' a quel punto che il pm Petroselli stravolge completamente il prosieguo dell'udienza. Prima chiama a sé tre carabinieri (tra cui il maresciallo Venanzoni, sentito come teste nelle scorse udienze). Poi li fa avvicinare a Enrico e Maria Esposito, come sempre in prima fila per seguire il processo. E' un attimo.

Valentini e Rosati si fiondano a vedere cosa succede. Il giudice Pacioni chiede qual è il problema. “Nessun problema”, risponde il pm.

Pochi secondi dopo l'udienza è sospesa. I coniugi Esposito sono fuori dall'aula. Destinazione: la caserma dei carabinieri di via De Lellis, per notificare gli avvisi di garanzia a loro carico.

Li accompagnano i carabinieri e i legali del figlio, che inveiscono pesantemente contro il metodo del pm, a loro dire, “vergognoso e discutibile”. “Poteva aspettare almeno che finisse l'udienza – dice Valentini, fuori di sé -. Invece ha preferito fare tutto nel bel mezzo del processo. Tanto per accanirsi su Enrico e Maria”.

L'ipotesi di reato, annunceranno dopo mezz'ora gli avvocati, di ritorno dalla caserma, è subornazione di testimone. Una sorta di istigazione a rivelare il falso. Una pressione che, secondo l'accusa, gli Esposito avrebbero esercitato su uno dei testi del pm, per piegare la sua deposizione in favore di Paolo.

Solo più tardi si saprà che il teste in questione è Augusto Pesci. Uno dei membri del circolo di An che aveva sede nel locale di via Piave, comparso davanti alla corte il 22 ottobre scorso.

La signora Maria prova a tornare in aula, ma viene colta da un malore che la fa correre a Belcolle e le impedisce di assistere al processo.

Il resto dell'udienza prosegue con la deposizione fiume del brigadiere Camillo Mingione. (fotogallery2)

Oltre tre ore di testimonianza per ripercorrere l'intero iter delle indagini dei carabinieri. Dagli accertamenti telefonici alle ricerche dei corpi. Dai sopralluoghi in casa, con i combur test, agli sfoghi di Esposito in carcere. Come quello del 27 agosto 2009, quando l'imputato avrebbe detto a Mingione e ai suoi colleghi che, se c'era sangue, in casa, era perché erano entrati due moldavi a sua insaputa, seminando il panico nella villetta.

Un'indiscrezione pubblicata, a suo tempo, dai giornali, ma mai emersa in aula.

L'avvocato Sini ha chiesto ai giudici di poter interpellare Mingione sulla questione. Ma la corte ha rigettato la richiesta.

A Mingione è stato chiesto di una sua indagine eseguita sulla cella di Capodimonte. La stessa cella che il cellulare di Tatiana avrebbe agganciato il pomeriggio del 30 maggio quando, intorno alle 17,30, telefonò alla figlia Elena.

Nel settembre 2009, il brigadiere e un suo collega fecero un giro intorno al lago di Capodimonte, finalizzato a verificare il tragitto che poteva aver fatto Tatiana sul bus Viterbo-Gradoli (che però non passa per Capodimonte).

Qual è stato il motivo di questo accertamento?” incalza l'avvocato Bruno. “Era una cosa mia personale”, ha risposto il brigadiere, segnando un chiaro punto a favore delle difese. Mingione, infatti, fece quelle indagini di sua spontanea volontà. Solo sulla cella di Capodimonte. E senza alcuna richiesta da parte del pm.

Altra questione che ha tenuto banco, quella della famosa cartellina gialla, contenente i documenti di Elena e Tatiana. I carabinieri dissero di averla trovata il 23 giugno sullo scaffale di una libreria, in camera di Elena. Ma su quello stesso scaffale, come mostrano le foto di un precedente sopralluogo, la cartellina non c'era. L'unica foderina gialla che si intravede, tra cumuli di libri, è sul letto. Per Mingione tutto quadra.

“Il maresciallo Villani ha trovato la cartellina dietro i libri dello scaffale – dice il brigadiere -. Poi l'ha appoggiata sul letto per fotografare i documenti”. Ma i conti non tornano: gli scatti della cartellina sul letto sono dell'11 giugno e non del 23. Perché?


Processo Gradoli - Colpo di scena in aula - Fotocronaca
Avvisi di garanzia per Enrico e Maria Esposito
Viterbo - 20 novembre 2010 - ore 10,00


Processo Gradoli - Dopo la notifica degli avvisi di garanzia - Fotocronaca
Maria Esposito colta da malore
Viterbo - 20 novembre 2010 - ore 15,00


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