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Gemini Ciancolini, sindaco di Vitorchiano
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Riceviamo e pubblichiamo - E' passato nel silenzio quasi generale il decreto legge che prevede la privatizzazione dell'acqua pubblica in Italia.
Come al solito, i provvedimenti impopolari si prendono in estate!
Il 6 agosto il Parlamento italiano, mentre il paese era in vacanza, ha infatti votato con l’appoggio dell’opposizione l’articolo 23bis della legge numero 133/2008 , cioè il decreto legge 112 - la cosiddetta “finanziaria triennale” del ministro Tremonti.
Con questa operazione, testualmente, si affida "il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica".
Lo stesso decreto evidenzia il preciso obiettivo "di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di tutti gli operatori economici interessati alla gestione di servizi di interesse generale in ambito locale".
Al di là dei giri di parole, quello che emerge è che in pratica si spalancano le porte alla privatizzazione dell'acqua pubblica.
In sostanza il governo Berlusconi ha permesso che in Italia l'acqua non sarà più un bene pubblico, un bene di tutti, ma una merce che potrà essere gestita da multinazionali internazionali (le stesse che già possiedono le acque minerali).
Tutto questo avviene mentre si cerca di portare avanti delle campagne sociali che cercano di sensibilizzare all’uso dell’acqua del rubinetto visto che l'Italia è il maggior consumatore al mondo di acqua in bottiglia di cui il 65% è commercializzata in bottiglie di plastica (questo significa circa 9 miliardi di bottiglie di plastica da smaltire ogni anno).
L'acqua cessa quindi di essere diritto collettivo e diventa prodotto venduto da privati da acquistare a titolo individuale.
Questo vuole dire che ciascuno di noi questo prodotto lo deve pagare.
Le conseguenze di questo tipo di sistema sono già sotto i nostri occhi, come ad esempio a Latina dove la “privatizzazione dell’acqua” ha consentito alla Veolia (multinazionale che gestisce l'acqua locale) di aumentare le bollette del 300%.
Oltretutto ai consumatori che protestano, Veolia manda le sue squadre di vigilantes armati e carabinieri per staccare i contatori.
Le esperienze di gestione privata del sistema idrico sono state quindi fallimentari: i cittadini, a fronte di bollette sempre più esose da pagare ai privati, non ricevono nemmeno servizi efficienti.
Con la legge Galli del 1994 si è cercato di riorganizzare e razionalizzare il sistema di gestione idrico riunendo i comuni in Ato (ambiti territoriali ottimali).
Con le normative vigenti gli Ato possono decidere se gestire autonomamente il servizio, tramite società a capitale totalmente pubblico (in house), appaltarlo con gara europea a privati o, ancora, affidarlo a società miste spesso a maggioranza pubblica.
L’unica condizione vincolante è la gestione in modalità privatistica, con meccanismo basato su tariffa -investimento - miglioramento del servizio.
Oggi i casi di aggiudicazione del servizio con gara si contano sulle dita di una mano e quasi la metà del servizio è stato affidato in house (a capitale interamente pubblico) o a società miste; e solo il 13% ha gestione interamente privata.
Secondo molte ricerche effettuate in materia le tariffe sono cresciute mediamente del 35% ma l’efficienza infrastrutturale è rimasta la stessa, con oltre il 25-30% di perdita degli acquedotti e la quasi totale inefficienza dei depuratori: altri studi confermano poi che le tariffe sono destinate a crescere per i prossimi 12 anni.
Questo vuol dire che gli operatori continueranno ad alzare le tariffe o dovranno aumentare la richiesta di mutui alle banche, che già oggi chiedono tassi altissimi regolarmente scaricati sull’utenza.
Il vero problema è quello di coniugare forme di gestione efficienti ed efficaci, ispirate ai criteri di economicità, con i principi di solidarietà e sostenibilità sociale.
L’apertura dei servizi pubblici al mercato, nelle sue attuali forme, non sembra infatti determinare un incremento del grado di concorrenza (come vorrebbe la legge), ma semplicemente tende a sostituire monopoli pubblici con monopoli privati o pubblico-privati.
Il fatto che questi servizi si realizzino in settori che in genere sono caratterizzati da domanda largamente garantita e costante, possono infatti generare solo rendite di tipo monopolistico con l’attivazione di logiche più legate alla massimizzazione dei profitti che all’erogazione di un servizio efficiente e solidale.
Per questo motivo, con il sistema attualmente previsto, la privatizzazione dell’acqua e le sue logiche di business creano necessariamente cittadini di seria A (i ricchi) e di serie B (i poveri).
Oltretutto è indispensabile sottolineare che quando si parla di acqua si parla di falde, ovvero si parla di territorio: si tratta di ambiti che non possono essere affidati a privati.
Il decreto in questione infatti finisce con il modificare la natura stessa dello Stato e delle collettività territoriali.
I comuni, in particolare, non sono più dei soggetti pubblici territoriali responsabili dei beni pubblici, ma diventano dei soggetti coinvolti nella proprietà di beni competitivi in una logica di interessi privati, per cui il loro primo dovere è di garantire i dividendi dell’impresa.
Non è quindi condivisibile questa fuga dall’idea di servizio pubblico locale, sulla quale era stato pensato il servizio idrico, per mezzo di una deterritorializzazione dello stesso causato dallo svuotamento del ruolo decisionale delle istituzioni locali su servizi fondamentali come quello idrico.
Vogliamo pertanto ribadire che l’acqua è un diritto fondamentale umano, che deve essere gestita dalle comunità locali, avendo come fondamento una cultura del risparmio idrico, con totale capitale pubblico, a un costo ragionevole per l’utenza.
Sull’affermazione di questo principio la nostra amministrazione comunale si sta battendo.
L’allargamento del mercato, nelle attuali condizioni, non si configura come una valida soluzione come del resto le esperienze maturate finora hanno ampiamente dimostrato.
L’acqua appartiene a tutti e a nessuno può essere concesso di appropriarsene per trarne profitto.
Quindi ribadiamo la nostra posizione che l’acqua deve essere di ogni comune e gestita autonomamente e direttamente dalle singole amministrazioni, senza trarne profitti, creando piuttosto un servizio d’eccellenza capace di sviluppare un indotto per posti di lavoro serio e non clientelare.
Il modo peggiore per la gestione di un bene pubblico e vitale quale l’acqua è proprio quello di essere principalmente fonte di arricchimento di privati.
Gemini Ciancolini
Sindaco di Vitorchiano