Una decisione presa di getto, senza secondi fini, senza pensare a tattiche o strategie: né politiche né giudiziali. Semplicemente, lo dovevo fare.
Prima di tutto: non è una protesta nei confronti della magistratura di cui rispetto il ruolo e il cui operato non potrà che certificare la mia retta e proficua attività amministrativa.
Un’attività decennale di cui mi sento orgoglioso per tutto quello che sono riuscito a fare nel tentativo giornaliero di alleviare quanto più possibile un disagio sociale che esiste anche in una città come Viterbo. Se ho commesso un errore, è stato quello di cercare di risolvere i problemi reali delle persone che ogni giorno si sono rivolte a me.
Sinceramente, lo rifarei.
Perché ho cercato di dare a tutti risposte concrete e non inutili promesse. Dopo 26 giorni ho avuto modo di approfondire le vicende che mi vengono contestate ed ancora di più mi sento di aver operato nella direzione giusta cercando di risolvere le problematiche più disparate, senza mai abusare del mio ruolo o delle circostanze.
Uno sciopero della fame, quindi, di purificazione personale dopo mesi e mesi di veleni e malafede che, anche in queste ore, travisano ogni mio gesto.
Dovevo farlo. L'ho sentito come imperativo morale per far arrivare il mio urlo silenzioso alle migliaia di persone che mi sono vicine: la nostra città, non si merita tutto questo, non si merita un clima irrespirabile di odio che non appartiene alla storia di Viterbo e dei viterbesi. Esiste un momento per le parole e uno per i gesti.
E con il mio gesto voglio parlare alla Viterbo che conosco e voglio continuare a riconoscere, anche quando tutto questo sarà presto finito: la Viterbo del dialogo, la Viterbo del fare, del sorriso e delle scelte.
La Viterbo che amo e che ho intenzione di continuare a servire come ho fatto fino ad oggi.
Uno sciopero della fame, quindi, come gesto di orgoglio rivolto a tutti quelli che mi sono vicini e che credono in una Viterbo del futuro senza avvelenatori .
Mauro Rotelli