Riceviamo e pubblichiamo
- Come si temeva, la Viterbese è entrata in un tunnel di cui per ora non si intravede l’uscita. Stare a recriminare non serve, in un momento in cui è d’obbligo trovare le soluzioni più compatibili con la pessima china presa dagli eventi.
Vale tuttavia la pena di ricordare che la società si porta addosso un fardello di responsabilità assai pesante da giustificare.
Ha illuso l’ambiente (già preda del disincanto) per venire meno, da subito, ai suoi faraonici scenari. Ha eluso le richieste pressanti sullo stato economico, continuando a professare un ottimismo di vago sapore sciovinista. Si è fatta forte della prodigiosa rimonta che la squadra ha realizzato negli ultimi due mesi per blindare l’assedio al fortino societario. Ha continuato a rassicurare il contesto, come nella conferenza stampa del 9 aprile scorso, sulla regolarità della situazione contabile.
In realtà i fatti parlano da soli. I risultati di una condotta così proditoria sono di tutta evidenza. Disordine organizzativo, assenza di comunicazione con il contesto, sovrapposizione di ruoli, bilancio fuori controllo e, dulcis in fundo, deferimento alla procura federale per irregolarità contabili (peraltro sempre negate).
Anche sotto il profilo sportivo il bilancio è fallimentare. Il possibile aggancio ai play off, pure allo stato ancora possibile, sarà vanificato dal deferimento e dall’eventuale penalizzazione afflittiva.
Ci sono ancora alcune buone carte da giocare, anche se la concentrazione di Chiappini e soci comincia a venir meno.
Domenica scenderà infatti al Rocchi un Taranto rilassato, mentre la bollita Cisco Roma (spinta da favori arbitrali) si recherà nella tana di un’Andria mai doma e il Melfi scenderà a Modica (con i siciliani obbligati a respingere l’ultimo attacco del Latina alla terzultima posizione). La Cisco Roma e il Melfi sono, in pratica, condannate a vincere. In caso di sconfitta o pareggio di entrambe, la Viterbese potrebbe rientrare in gioco con una vittoria al Rocchi. E però la sentenza di Firenze potrebbe pregiudicare (se già non lo ha fatto demotivando infine i giocatori) ogni residuo calcolo probabilistico.
A prescindere comunque dalla possibilità di evitare la penalizzazione (da scontarsi in questo o nel prossimo campionato), è chiaro che lo stato economico della Viterbese è molto grave. Se così non fosse, per quale astrusa ragione il patron Pecorelli non avrebbe tirato fuori le carte di cui dispone per dimostrare il contrario.
La recente lezione del fallimento - con le implicazioni sul piano penale, civile e sportivo che si è trascinata dietro - non è servita davvero a nessuno.
Cosa fare allora? Vista la palese insipienza dei personaggi implicati, a vario titolo, in questa brutta faccenda?
La società - “motu proprio” (soci) o per iniziativa di terzi (collegio sindacale) - dovrebbe prendere atto della situazione e provvedere alla bisogna prima che scattino i provvedimenti previsti dal codice. C’è da ripianare il capitale sociale, pagare il pregresso secondo le rigorose norme federali, far iscrivere la squadra al prossimo campionato e decidersi infine a passare la mano. Non si può continuare a giocare con il fuoco. Il fallimento si trascinerebbe dietro, oltre alla squadra e ai tifosi, quanti non sono intervenuti per tempo pur avendone l’obbligo legale.
Le istituzioni, laddove la società tentennasse oltre ogni ragionevole limite, dovrebbero chiedere le delucidazioni che competono a chi ha obbligo di tutelare i beni comuni della città. E dunque anche la sua squadra di calcio. Ciò che sta avvenendo, in questi giorni, in quasi tutte le latitudini d’Italia. Dove le amministrazioni comunali sono impegnate a maneggiare le tante patate bollenti di fine stagione.
Il contesto (tifosi, stampa, cittadini) - scottato dalla vicenda Greco-Capucci mai finora chiarita e per risolvere la quale è servito un enorme impegno economico legato al lodo Petruci che andrà perso in caso di nuovo fallimento - avrebbe l’obbligo civile e morale di pressare a tutto campo, di tenere alta l’attenzione.
Perché non si arrivi, more solito, all’ultima ora dell’ultimo giorno per poi vedersi franare tutto addosso.
Sergio Mutolo