Riceviamo e volentieri pubblichiamo un ricordo di Giorgio Schirripa inviato da Valerio Baldacchini. Il ricordo era stato spedito poco dopo la morte di Schirripa, ma per qualche mistero si era perso nei meandri di Internet. Ora fortunatamente lo abbiamo ritrovato.
- E' morto Giorgio. Viva Giorgio
Il dramma non è la sua morte, perché Giorgio vive ancora, ma la sua morte ora.
Non solo sentiremo il peso enorme della sua mancanza, ma toccheremo con mano il rischio dell'esaurirsi di questa straordinaria esperienza che è Eta Beta; rischiamo di nuovo di sentire la fine aleggiare sopra di noi e sarà come se Giorgio morisse per la seconda volta e questa volta definitivamente.
Giorgio non è stato un personaggio straordinario solo perché personalmente era straordinario, generoso umano e dolce… Giorgio era molto di più.
Ho avuto la fortuna di frequentarlo negli ultimi anni, anche se purtroppo molto meno di quanto avremmo entrambi desiderato. All'inizio dell'esperienza di Eta Beta, una delle sue più strette collaboratrici mi parlava spesso di quanto importante fosse l'esperienza che stava vivendo, collaborando con Giorgio nel teatro integrato e mi invitava in continuazione ad andare a vedere gli spettacoli.
Io accampavo sempre scuse: non ho tempo, quel giorno sono lì, quell'altro sono là, quella sera devo lavorare e così via. La realtà è che avevo paura, come tutti quelli che niente sanno: hanno paura.
L'handicap spaventa.
Chi non ha provato una difficoltà immensa nel cercare di guardare negli occhi un bambino disabile? ed allora si cerca di sfuggire e fa comodo pensare che il problema sia solo medico e lo debba affrontare la medicina, che la disabilità è una malattia, ma una malattia particolare che degrada dal ruolo di persona. Non c'è niente di più facile per l'uomo che liberarsi la coscienza con giustificazione pseudo-scientifiche. Al massimo si possono compiangere i genitori per la triste sorte toccata loro, una maledizione che di fatto li condizionerà per tutta la vita.
E poi ero scettico. Il teatro con i down! Tanto entusiasmo mi sembrava esagerato.
Un giorno, sotto la minaccia esplicita di perdere l'amicizia ho fatto coincidere il viaggio di ritorno dal lavoro con lo spettacolo di Eta Beta che si teneva a Frosinone, credo 4 anni fa.
Si rappresentava il Macbeth di Shakeaspeare. Sono arrivato con appena qualche minuto di ritardo, all'entrata del carro sulla scena: mi sono trovato un posticino vicino al palco e con tutto lo scetticismo di cui ero pervaso mi sono apprestato a seguire lo spettacolo. Sono stato letteralmente folgorato.
Era stupefacente vedere questo gruppo di giovani in difficoltà e non che recitavano insieme per davvero, anche quelli più gravi con le scene pensate apposta, affinché nelle loro mosse previste dalla sceneggiatura di fatto i ragazzi dell'università, li aiutassero nei movimenti. Mi sono ricordato degli “straordinari progressi” di cui venivo sempre informato, ed ho capito che non solo era vero, ma probabilmente c'era molto di più.
Le sorprese non erano finite. Dopo lo spettacolo il prefetto di Frosinone ha offerto un rinfresco. Si erano già fatte le undici di sera ed il rinfresco è poi finito oltre la mezzanotte.
Per chi aveva sempre considerato gli handicappati, come malati, vederli invece muoversi nella sala elegante con la disinvoltura di persona “normali”, prendere il cibo come le persone normali parlare tra loro e con gli altri, i normali, in modo del tutto naturale e muoversi tra i tavoli, è stato un secondo shock ancora maggiore. Alcuni ragazzi, che ovviamente non conoscevo, mi si sono avvicinati e abbiamo scambiato qualche parola.
Ero affascinato. Lì, credo di aver compreso quel valore, quel di più che era Giorgio Schirripa.
Giorgio aveva cambiato il punto di vista, aveva rovesciato il paradigma; quindi, a dare retta a Khun, Giorgio era una scienziato che aveva fatto una vera “rivoluzione scientifica”.
In piena solitudine, con il suo staff e la collaborazione di pochi volontari, aveva aperto la strada nuova. Qualche giorno dopo, parlando con lui e due sue collaboratrici, discutemmo sul percorso che bisognava intraprendere affinché questa esperienza diventasse sistema. Lui mI parlava delle meschinerie e delle difficoltà che incontrava nel portare avanti l'esperienza, sempre in bilico e a rischio di. chiusura.
Due ci sembrarono le direttrici che bisognava imboccare decisamente: una cattedra universitaria e il matrimonio con la citta di Viterbo.
La prima doveva servire a creare una scuola scientifica sulle abilità differenti dove, a partire dall'esperienza di Eta Beta. Bisognava porre le basi teoriche per la nuova disciplina. La seconda il consenso della città, come si dice: ”non si vince fuori casa se prima non si vince in casa”.
Era qui che l'esperienza doveva essere vissuta, nella città, che doveva riconoscerla e farla propria, interiorizzata nel vissuto quotidiano, costruendo attorno ad essa una vera rete di consenso e protezione. Cose peraltro già avviate e che stavano andando già allora molto bene.
Il gran ballo di Eta Beta ne era l'espressione già forte, ma bisognava andare oltre per arrivare a momenti pubblici cittadini con risonanza nazionale.
Da allora le cose avevano cominciato ad andare proprio bene: la cattedra era arrivata, con le prime tesi di laurea in corso; la risposta della città di Viterbo era forte e cresceva ogni anno di più nella direzione giusta.
Il funerale ne è stata la più evidente delle prove: non ce n'era una persona tra i duemila presenti in chiesa che fosse lì solo “per dovere”. La città aveva riconosciuto come propria tutta l'esperienza e piangeva il suo mentore.
L'ultima volta che abbiamo parlato, c'eravamo detti che probabilmente in tre anni si sarebbe raggiunto quel livello di sistema per cui la piantina, ora ancora fragile, avrebbe messo tale abbondanza di rami e radici che non avrebbe più potuto essere distrutta dal freddo o dal caldo o da qualche altra evenienza dannosa.
Questa morte è dunque mostruosa. Non invidio in questo momento i credenti. Come si fa a non sentir vacillare la fede sotto i colpi di questa morte? Perché proprio lui?
E ora che fare?
Come continuare affinché Giorgio non sia ricordato come l'essere generoso così bene dipinto nella bellissima cerimonia funebre, che credo poche volte Viterbo abbia riservato ai suoi figli migliori? Come far sì che l'emozione, la volontà di continuare si trasformi veramente in atti concreti nella direzione giusta?
Bisogna partire dalla consapevolezza che Giorgio non era solo un samaritano che faceva del bene, che trascinava con il suo entusiasmo collaboratori e operatori sociali, nella nobile missione cui si era dedicato per tutta la vita. Se così fosse, continuare non sarebbe facile.
No, Giorgio ha fatto quello che ha fatto perché era per prima cosa un uomo di scienza che, in solitaria, con non molti riferimenti oltre Bollea, e purtroppo spesso fuori dai circuiti ufficiali dell'accademia, ha percorso sentieri nuovi della neuro psichiatria infantile, fino a trovare la direzione giusta, una strada che ora, per poter essere percorsa da un numero sempre maggiore di persone, deve essere spianata, allargata, sistemata. Occorre metterci l'asfalto, i paracarri, la segnaletica, altrimenti sarà sempre un sentiero.
Per poter resistere l'esperienza deve però uscire dalla sola citta di Viterbo, deve diventare modello operativo. Deve, come si dice, fare scuola. Altrimenti è destinata a chiudersi su sé stessa e a esaurirsi.
Certo, averla cercata e trovata è stato per primo possibile, avendo il supporto della sua straordinaria umanità, della sua capacità di amare, della sua utopia per una società migliore.
Non ho difficoltà a immaginare quanti lo abbiano preso per pazzo all'inizio del suo percorso. Ma queste doti da sole non sarebbero bastate. La scommessa che attende ora Viterbo, la città, la Provincia, la Regione, è quella di continuare questa opera senza Giorgio.
Altrimenti, il futuro sarà un ritorno al passato e alla tradizionale concezione dell'handicap.
Una cosa deve essere detta con forza da subito. Non ci può essere su tutto questo alcuna polemica, strumentalizzazione o altra ingerenza, che non sia una piena adesione condivisa al progetto, un dare senza chiedere nulla in cambio, se non che si proceda nella direzione giusta, indicata da Giorgio. I cui punti fermi sono: servizio pubblico da un lato, associazione tra le famiglie e loro coinvolgimento operativo dall'altro, e forte presenza del volontariato. Perché quello che si sta facendo con questa esperienza è il livello più alto di civiltà che una popolazione possa raggiungere.
Bisogna mettere le cose in modo tale da ridurre tutti i rischi.
Il primo tra tutti la scelta del sostituto, che purtroppo, senza una scuola locale di formazione non potrà essere selezionato sulla base del percorso già fatto all'interno dell'esperienza.
La scelta del sostituto dovrà essere fatta con modalità tali da permetterne il controllo da parte dell'associazione, in modo tale che se non va si possa cambiare.
Prima di chiudere questa lettera e dare ancora l'ultimo saluto a Giorgio, mi permetto di entrare subito nelle questioni del che fare, indicando un possibile percorso.
Bisogna consolidare l'esperienza facendole fare da subito un salto di qualità, costituendo la fondazione “Giorgio Schirripa, Istituto di ricerca per le abilità differenti”.
La provincia e il comune mettono nella fondazione le strutture che ne diventano patrimonio.
La provincia e il comune entrano nella fondazione, insieme ad altri soggetti pubblici della città e della provincia che vogliono farne parte, ma non in una posizione direttiva.
Eta Beta partecipa alla fondazione, ma resta una associazione autonoma, esprime però il presidente e il direttore che nascono dall'esperienza di Eta Beta stessa.
Bisogna continuare nel rapporto con l'università e nella costruzione della scuola scientifica fino alla istituzione di un “Laboratorio per le abilità differenti”, la cui sede operativa sia presso la fondazione.
La cattedra attuale di Giorgio dovrà essere mantenuta, stabilizzata e assegnata in modo concordato con la fondazione.
Il docente farà parte dello staff tecnico e dirigenziale della fondazione.
In questo modo l'esperienza di Eta Beta sarà sempre l'esperienza pilota e di ricerca, mentre le strutture della fondazione possono anche ospitare con continuità la formazione permanente.
Il servizio è sempre in capo al servizio pubblico della Asl, che ne ha sempre il pieno controllo.
Questo era il percorso immaginabile da Giorgio, l'utopia, e questo credo potrebbe essere il suo testamento.
Ciao, Giorgio
Valerio Baldacchini