Viterbo 26 maggio 2005 - ore 9,20 -Il Museo civico è in Piazza Crispi, già detta Parco della Rimembranza, questultimo fu inaugurato il 6 Maggio 1923, alla presenza di Emanuele Filiberto di Savoia (1869 - 1931), duca dAosta. Il Museo è ospitato dal 3 Settembre 1955, giorno dellinaugurazione, nel chiostro e nei locali dellex Convento di santa Maria della Verità ed è stato riaperto nel Dicembre del 1994. Dal 1983 è stato dato il via al progetto di ristrutturazione, architetti sono stati Mattioli e Biondi, e nel 1987 fu decretata la chiusura per un primo stralcio di lavori, ma lunghe sono state le fasi dei finanziamenti con i consueti ritardi burocratici.
Il progetto di allestimento è stato studiato da Franco Minissi, docente di Museologia allUniversità La Sapienza di Roma, affiancato dal direttore Mario Moretti, da Adriana Emiliozzi, allora ricercatrice del C.N.R. e poi direttrice del Museo stesso, e dal professore Italo Faldi.
Il Museo civico è disposto su tre livelli espositivi e si divide in due principali momenti cronologici: la sezione archeologica, dallEtà del Ferro al periodo romano, e la sezione Medioevale e dellEtà Moderna, fino a raggiungere il Settecento. In particolare al piano superiore è conservata la Pinacoteca.
Sala I
Vi si trovano le raccolte archeologiche del Comune avvenute nel 600 e nel 700. I cippi con le iscrizioni etrusche risalgono al 1694 quando furono ritrovati alla Cipollara, vicino Musarna. Alcuni sarcofagi di questo ritrovamento, sono conservati a sinistra del cortile del Palazzo dei priori.
Il sarcofago di terracotta risale al II secolo a.C., realizzato a Tuscania, proviene da una tomba scavata a Viterbo nel 1784 presso le mura castellane al Poggio delle Fornaci, oggi detto Poggio Giudio.
Le vetrine della parte centrale presentano reperti di vari luoghi dellEtruria meridionale, come i corredi rinvenuti negli anni 1929 - 1931, nella necropoli dellOlmo Bello di Bisenzio.
I corredi tardo villanoviani dellVIII secolo a.C., ritrovati da Luigi Rossi Danielli nel 1903 a Poggio Montano, nei pressi di Vetralla, sono caratterizzati da olle e vasi con impasto scuro, da pendagli, da fibule e da armille.
I reperti ritrovati in tombe della fine del secolo VII e metà VI a. C., riportati alla luce negli anni 30 del secolo XX, in località Bucine presso Montefiascone, provengono dal centro arcaico di Civita sul Fosso di Arlena, sulla sponda orientale del Lago di Bolsena. Mentre le suppellettili funerarie e votive di una tomba, databile dalla fine del IV allinizio del III secolo a. C., sono state recuperate in località Valle Giuncosa, a Norchia. Tra i bronzi del corredo esposto riveste una non indifferente particolarità la situla che si presenta con una insolita raffigurazione agli attacchi dellansa.
Inoltre sono esposte ceramiche e bronzi di età ellenistica recuperate a Monterazzano, e ancora altri reperti da Pian del Vescovo a Blera, da cui proviene anche una testa di sfinge arcaica in nenfro, databile fine VII principio VI secolo avanti Cristo.
Non mancano materiali provenienti da Ferento, da Acquarossa, secoli VII - VI a. C. e da Pianicara, dal IV secolo in poi, a cui si riferiscono anche il leone funerario ed i cippi sepolcrali a dado.
E ancora, sono conservati materiali fittili votivi di Bomarzo, secoli III - II a. C., appartenuti alla raccolta Pio Capponi, donata dal medesimo al Museo nel 1884.
Sala II e Sala III
Le sale sono riservate alla ricca e preziosissima Collezione Luigi Rossi Danielli, un viterbese (1870 - 1909) appassionato di archeologia, composta di oltre mille reperti e consegnata nel 1912 al Comune a titolo di deposito perpetuo. La tipologia dei reperti va dalla ceramica dimpasto, VIII - VII secolo a.C., ai buccheri, VII - VI secolo a.C., dai vasi figurati di importazione greca a quelli etruschi, dalle ceramiche di età ellenistica a quelle romane e poi bronzi e resti di sarcofagi. Tre anfore etrusche a figure nere destano particolare interesse e risalgono al primo quarto del V secolo avanti Cristo. Invece tra i vasi a figure rosse è il cratere del Pittore di Sommavilla della fine del V secolo avanti Cristo.
Assai finemente lavorata è una Urna cineraria che risale alla prima metà del I secolo d. C., ritrovata a Ferento in uno scavo del 1880.
Tra i pezzi di oreficeria, di particolare interesse, è uno scarabeo di corniola rossa su un pendente doro con leffige di un guerriero. Alcuni anni fa è stata rubata una bulla, in foglia doro battuta, raffigurante una maschera gorgonica con capelli a ricci stilizzati, risalente alla fine del VI secolo avanti Cristo. Un vero gioiello!
Nella III sala sono gli oggetti scavati da Luigi Rossi Danielli provenienti da Musarna, su un architrave in peperino è scolpito lo stemma dei Serviti.
Sala IV
E riservata alle antichità romane del periodo imperiale. Vi sono esposti i sarcofagi, le epigrafi e le suppellettili ritrovati nel 1921 a Ferento in una tomba a camera della famiglia Salvii, o Salvia, di origine etrusca e dalla quale discendeva limperatore romano Marco Salvio Otone, che partecipò al governo di Ferento per tutto il I secolo avanti Cristo.
Tre epitaffi sono incisi in lingua latina e sono riferiti ai magistrati Aulus Salvius Crispus, Aulus Salvius Crispinus e Sextus Salvius. Queste iscrizioni, per renderle meglio leggibili, furono pitturate in rosso con il minio che ancora si conserva in un calamaio esposto.
Sala V
Raccoglie le antichità romane del periodo imperiale; nel primo settore sono: sculture, epigrafi, frammenti architettonici e una urna cineraria, provenienti da Ferento.
Nel secondo settore sono: sarcofagi marmorei, sculture, epigrafi e altri reperti. Tra le epigrafi è interessante quella riferita a Sesto Ortensio, ufficiale subalterno del console Cesare Germanico, il quale commissionò e fece eseguire, a sue spese, alcune opere pubbliche a Ferento, fra il 12 e il 18 d. C., tra le quali un Foro e un Augusteo arricchito dalla presenza di oltre cinquanta statue.
Il frammento di architrave con mostri marini con corpo umano, recuperato nel 1954, fa parte del monumento dedicato a Flavia Domitilla, moglie dellimperatore Tito Flavio Vespasiano, originaria di Ferento.
Un altro sarcofago proviene dalla località Torre S. Maria di Luco a Soriano nel Cimino, grazie ad uno scavo effettuato nel 1910, sul fronte è raffigurato il defunto e risale allultimo venticinquennio del III secolo dopo Cristo.
Imponente è il sarcofago scolpito su tre lati con scene di caccia al leone da riferire al 270 - 280 dopo Cristo. Questa cassa marmorea, riutilizzata nel Medioevo, fu oggetto di venerazione da parte dei Viterbesi, infatti, fin dalla seconda metà del Cinquecento, si volle fosse qui sepolto il corpo della Bella Galiana. Il sarcofago era murato sulla facciata della Chiesa di santAngelo in Spatha ed è stato rimosso nel 1988, essendo stato sostituito da una copia nel 1999.
Primo piano
Al primo piano sono le seguenti sale:
Sala VI
In questa sala è la Pinacoteca, che è stata formata nel XIX secolo dopo lespropriazione dei beni ecclesiastici, eseguita a Viterbo tra il 1870 ed il 1874. Le opere, di notevole interesse, furono in un primo momento esposte e conservate nel Palazzo dei priori, dal 1912 furono trasportate nella Chiesa di santa Maria della Verità, poi dopo la Seconda guerra mondiale nel Museo civico.
Nella sala è la Sfinge, opera scultorea del 1286, firmata da frate Pasquale romano dei Predicatori di santa Maria in Gradi, lepigrafe scolpita sul basamento lho riferita nella descrizione della Chiesa di santa Maria in Gradi. E lo stesso autore del Leone marmoreo di santa Maria in Cosmedin a Roma.
E poi un Leone in marmo, opera della seconda metà del XIII secolo, che presenta una lavorazione incompleta nella parte posteriore. Forse era un elemento di base di un monumento e proviene da santa Maria in Gradi. In fondo a sinistra è un particolarissimo acquamanile in bronzo, per uso liturgico, a forma di leone, opera della prima metà del 1200 della bassa Sassonia, proviene anche questo da Gradi, infatti reca la scritta Sac. S. Mar. ad. Gr.
Il dipinto su tavola, sul fondo della sala, rappresenta la Madonna in trono con il Bambino ed angeli, un eccellente esempio di scuola romana, sempre duecentesco. Apparteneva a santa Maria in Gradi.
Di fronte, ancora del secolo XIII e sempre di scuola romana, è la Madonna con il Bambino, una tavola, detta anche Madonna bizantina, portata su tela nel 1913 probabilmente dal restauratore Francesco Cochetti; proviene per alcuni studiosi dalla Chiesa di san Giovanni Battista degli Almadiani, per altri da Gradi.
Interesse desta il drappeggio a bretelle del vestitino del Bambino e laureola a graticola.
Sul retro del pannello è conservato il dipinto su tavola, proveniente dalla Chiesa di santa Maria della Pace, Madonna con Bambino, su fondo oro, del XIV secolo, opera di Vitale degli Equi da Bologna. Lartista è attivo dal 1330 al 1359, le figure centrali sono inquadrate in una cornice ad arco acuto lobato. Il Bambino è rivolto verso un cardinale presentato da un santo vescovo. E stato depositato in Museo nel 1912 e restaurato nel 1949.
Sala VII
In questa sala sono conservate due opere di elevato valore artistico di Sebastiano Luciani, più noto come Sebastiano del Piombo (Venezia 1485 - Roma 1547), commissionate dal prelato viterbese Giovanni Botonti, a destra la Pietà eseguita nel 1515 - 1516 per la Chiesa di san Francesco, vi è raffigurata la Madonna in preghiera vicino al corpo di Cristo morto.
A sinistra la Flagellazione, ultimata nel 1525 e collocata nella Chiesa di santa Maria del Paradiso, sul primo altare a destra. E assai chiara in queste opere linfluenza che ebbe su Sebastiano del Piombo, un maestro come Michelangelo Buonarroti, con cui tenne evidenti rapporti. Sulla parte posteriore delle pitture sono alcuni schizzi di figure a carboncino e a sanguigna, in quello della Flagellazione tradizione vuole che appartengano allo stesso Michelangelo, mentre sulla Pietà è quasi certo siano di Sebastiano stesso.
Giorgio Vasari scrive che il cartone della Pietà fu eseguito da Michelangelo mentre la pittura fu opera dello stesso Sebastiano che «con diligenza lo finì».
La tavola Deposizione del Cristo, sulle ginocchia della Madonna assisa, coi santi Maria Maddalena che tiene le gambe di Gesù, Giovanni Evangelista che ne sostiene il capo, Giovanni Battista, Pietro, Giacomo Maggiore, un vescovo santo, Paolo, Antonio da Padova (o Filippo Benizi?) e Cristoforo, sullo sfondo a destra, è del pittore viterbese Costantino di Jacopo Zelli (noto dal 1509 al 1524).
Proviene dal primo altare a sinistra della Chiesa di santa Maria della Verità, appartenuto allArte dei Muratori, lopera fu terminata il 10 Aprile 1517, infatti è datata e firmata su un cartiglio posto ai piedi della Madonna, Opus Co. Ja. de Ze. faciebat 1517 die 10 Aprilis. E stata restaurata nel 1954 a cura della Soprintendenza alle Gallerie del Lazio da A. Cecconi.
Sala VIII
La tavola di fronte fu commissionata nel 1488 dai coniugi Guizzi per laltare della loro cappella nella Chiesa di santa Maria della Verità e rappresenta il Presepe tra i santi Giovanni Battista e Bartolomeo, opera del viterbese Antonio del Massaro detto il Pastura (1450 c. - prima del 1516).
Sulla parete di destra è un affresco portato su tela, sempre del Pastura con la Madonna col Bambino ed angeli tra i santi Girolamo e Francesco inginocchiati tra angeli e cherubini, già collocato sulla lunetta del portale della Chiesa di santa Maria del Paradiso, ed è della fine del XV secolo. Fu strappato dal sito originale verso il 1912 e restaurato nel 1954. Per la sua bellezza fu addirittura attribuito, nel 1824 da Stefano Camilli, al grande Leonardo da Vinci.
E poi il probabile stendardo da processione con la Madonna con la croce in mano e col Bambino in piedi, tra due angeli. E per Antonio Muñoz un affresco distaccato, mentre evidente è la pittura su tela, opera di Antonio del Massaro che la eseguì intorno al 1493. Era nella Chiesa di san Clemente.
Sul pannello verso il fondo della sala, sulla parte posteriore, è una tavola proveniente dalla Chiesa di santa Maria in Poggio, raffigura la Madonna in trono col Bambino ed è opera di Francesco di Antonio Zacchi detto il Balletta, noto dal 1430 al 1473, morto secondo Giuseppe Signorelli nel 1476. E stato in parte danneggiato dai bombardamenti del 1944.
Sul pannello, al centro, è la tavola, esistente nel 1451, già appartenuta alla Chiesa di santa Maria del Paradiso, con san Bernardino tra due angeli, del senese Sano di Pietro (1406 - 1481), allievo del Sassetta, in cui manca la parte inferiore. In alto si legge: Manifestavi nomen tuum hominibus.
Sul retro del pannello è la Madonna col Bambino opera del 1497 di Antonio Aquili, soprannominato Antoniazzo Romano (1464 - 1508), è parte di una tavola più grande andata a fuoco, proviene dalla Chiesa di santa Maria del Parto di Campagnano. Rubata nel 1918, appartiene al Museo dal 1927, quando fu donata dal Ministero. Portava la scritta: Antonatius Romanus me pinxit MCCCC97.
A sinistra è la tavola Matrimonio mistico di santa Caterina, opera del 1477 di Pancrazio di Antonello Jacovetti da Calvi (noto 1467 - 1513), già sul terzo altare a destra della Chiesa di santa Maria della Verità, ordinato dallArte dei Tessitori, come ho già scritto.
In sala sono custodite anche due sculture provenienti dalla Chiesa di san Giovanni Battista degli Almadiani, uscite dalla bottega fiorentina dei della Robbia. La prima in terracotta, ritenuta opera di Andrea della Robbia (1435 - 1528) del 1510, raffigura il busto del viterbese Giovan Battista Almadiani, protonotario apostolico e prelato domestico di papa Leone X. Il busto poggia su una base di legno ottagonale ove è la scritta: Io. Bap. Almadianus MDX. Feliciano Bussi ( 1741) scrive che era collocato sopra alla porta dingresso al coro, a sinistra dellaltare della Chiesa di san Giovanni Battista degli Almadiani.
Laltra scultura del 1515 circa, rappresenta la Madonna con il Bambino tra due angeli, in terracotta policroma invetriata, già collocata sulla lunetta della predetta Chiesa di san Giovanni Battista. Poiché era alquanto mal ridotta, alla fine del secolo XIX, le parti mancanti furono fatte eseguire dal pittore ceramista viterbese Pietro Vanni.
In sala sono anche: la tavola Santa Lucia, santAnsano e san Bernardino di anonimo del XV secolo; il dipinto la Madonna in gloria (sec. XV) da Campagnano Romano e la Madonna col Bambino attribuita alla scuola del Pastura proveniente dal Palazzo di Vico in Via dei Pellegrini di Viterbo.
Sulla parete, verso il chiostro, sono appesi due paliotti daltare lavorati con pregiati marmi multicolore. Sono del 600/700 e in quello a sinistra è, al centro, uno stemma partito, con a sinistra in capo un Agnus Dei e in basso sei rose disposte 3 - 2 - 1, mentre nella partizione destra è lo stemma dei Fani.
Sala IX
Sovrasta quello che un tempo era il refettorio del convento. Subito a sinistra, sulla parete, è un arazzo, in lana policroma e fili doro, tinto con sughi derba con lAdorazione dei Magi, opera di artista fiammingo della metà del XVI secolo, per un paliotto della Chiesa di santa Maria in Gradi.
Sul pannello centrale, alla sinistra dellingresso, è la tela Morte di Maria o Dormitio Virginis, del manierista Aurelio Lomi (Pisa 1556 - 1622), collocata, qualche anno dopo la sua esecuzione, avvenuta post il 1611, nella Chiesa dei santi Teresa e Giuseppe dei Carmelitani scalzi. La chiesa fu iniziata ad essere costruita nel 1634. Lopera è firmata sulla testata del letto della Madonna: Aurelius Lomius Floren.s divina benignitate suffultus.
Sul fronte posteriore è il dipinto, del tardo manierismo romano, lAdorazione dei Magi attribuito a Cesare Nebbia (Orvieto 1536 c. - 1614 c.), un tempo già sullaltare maggiore della Chiesa di san Francesco.
A destra della porta dingresso alla sala sono una serie di quadri, sul primo pannello, è lIncredulità di san Tommaso, opera databile 1636 - 1637, di Salvator Rosa (Arenella - NA -1615 - Roma 1673) proveniente dallaltare maggiore della Chiesa di san Tommaso. E firmata nel cartiglio in basso a destra: Salvator Rosa neapolitanus f.
Secondo alcuni studiosi il quadro fu eseguito nel 1639 su commissione del cardinale Francesco Maria Brancacci, napoletano, vescovo di Viterbo dal 1638. Il personaggio allestrema destra, che guarda verso chi ammira il quadro, è lautoritratto del pittore.
Sul retro del pannello stesso è una tela attribuita ad Antonio Gherardi (Rieti 1644 - Roma 1702), opera eseguita tra il 1667 e il 1670, Santo vescovo e santo monaco in adorazione della Sacra famiglia.
In alto nel quadro è una piccola tela di autore anonimo della seconda metà del 500, con la Sacra famiglia. Lopera era già sul secondo altare a destra della Chiesa di santa Maria della Pace, trasferita al Museo civico nei primi anni 50 del secolo XX.
Sul secondo pannello è la tela ad olio Sacra famiglia e i santi Carlo Borromeo e Filippo Neri di Angelo Pucciati (1610 c. - Giugno 1643), era sul primo altare a sinistra della Chiesa di santa Maria della Pace. Ai lati sono san Giuseppe, a sinistra, e santAnna a destra. Restauri furono eseguiti nel 1920 e 1928, recentemente è stato foderato a cura del Laboratorio di restauro della Provincia di Viterbo.
Del viterbese Giovan Francesco Romanelli (1610 c. - 1662) è lopera, sul retro del pannello, che raffigura il Riposo nella fuga in Egitto, lavoro giovanile del pittore. Nel 1824 Stefano Camilli scrive che il quadro era conservato nella Camera dei Quadri, nel Palazzo dei priori.
Sul pannello seguente è la tela di Giovan Francesco Romanelli, lAnnunciazione del 1659, proveniente dalla cappella fondata dal pittore stesso, per la sua famiglia, nella Chiesa dei santi Teresa e Giuseppe. Il modello preparatorio è conservato nella Galleria Nazionale dArte Antica a Roma.
Sul retro è il Ritratto del cardinale Giovan Battista Bussi (Viterbo 2 Aprile 1657 - Roma 23 Dicembre 1726), opera di provenienza ignota, firmata da Giuseppe Rusca, eseguita a olio su tela e terminata il 20 Agosto 1714.
Infatti sul fascicolo posto tra i volumi sul tavolo a destra è scritto: Per la Città di Viterbo e sulla lettera aperta è Em.mo e R.mo Sig.re P.rone Col.mo / LOnore che Vostra Em.za mi fa col gradire e sul lembo piegato con la scrittura capovolta è Roma li 20 Agosto 1714 / di Vostra Em.za Umil.mo e Dev.mo ser.o / Giuseppe Rusca Pitt.re.
Il medesimo, sconosciuto ma apprezzabile pittore, eseguì anche un olio che rappresenta il Ritratto di Papirio Bussi (1681 - 1766), di proprietà privata.
Sulla parete di fondo è la Tribuna del coro, proveniente dalla Chiesa di san Clemente, eseguita in legno di noce, tra il 1596 e il 1599, da Giulio Spina, Valeriano di Silvestro da Bagnaia ed Ottaviano Vachini o Vacchini, viterbese.
Seguono sulla parete con le finestre, due piccoli quadri, sono i bozzetti per i dipinti da eseguire nella Chiesa dellAnnunziata di Napoli. Furono realizzati da Ludovico Mazzanti (Roma 1686 - Viterbo 1775), rappresentano la Presentazione al tempio e la Natività della Vergine, non si conosce la provenienza.
Sul pannello vicino è il Sacrificio di Polissena sulla tomba di Achille del pittore Domenico Corvi eseguito dopo il 1772, anzi, per alcuni studiosi è da riferire allultimo decennio del 700, era nella Sala rossa del Palazzo dei priori.
Sul retro è il quadro Transito di santa Maria Egiziaca di Marco Benefial (Roma 1684 - Roma 1764) proveniente dallaltare maggiore della Chiesa di santa Maria Egiziaca, ove erano le Convertite del Conservatorio del Buon Pastore, ed è riferibile al decennio 1720 - 1730.
Sul pannello successivo è la tela di Giovan Francesco Romanelli, Ercole e Onfale da far risalire al 1657. Questopera fu acquistata a Roma presso la Galleria Sangiorgi.
Sul retro è il dipinto lAssunzione di Maria, opera di Giovan Francesco Romanelli nel 1648 - 1649 commissionata dal cardinale Francesco Maria Brancaccio, per laltare maggiore della Chiesa di san Rocco ove rimase fino al 1915. Per alcuni studiosi lopera fu eseguita tra il 1633 ed il 1635.
Di Anton Angelo Bonifazi (1627 - 1699), è lo stendardo sul pannello seguente, raffigurante san Leonardo ed i carcerati, che era già sullaltare maggiore della Chiesa di san Leonardo. Fu poi custodito nella Chiesa di santAngelo, dopo la distruzione della chiesa. E lo stendardo della Confraternita omonima dipinto sulle due facciate; infatti, sul lato posteriore, è raffigurato san Leonardo in gloria.
Sul retro è la Presentazione al Tempio opera di Antiveduto Grammatica (Siena 1571 - Roma 1626) che sembra labbia eseguita prima del 1615, si trovava già sullaltare maggiore della Chiesa di santAgostino. A sinistra è Zaccaria con Gesù in braccio, al centro è santAnna col velo bianco, a destra è la Madonna e dietro di lei san Giuseppe.
Lultimo pannello porta il dipinto, eseguito su tavola e poi trasferito su tela, di un Santo domenicano (san Vincenzo Ferreri?), proveniente forse da santa Maria in Gradi. Lopera è attribuita a Giulio Pierino dAmelia noto tra il 1547 ed il 1582, anno in cui è a Viterbo.
Sul retro è il dipinto con san Sebastiano, degli inizi del XVII secolo, era nella Chiesa di santa Maria della Verità e Italo Faldi lo attribuisce a Cesare Nebbia.
(da L'illustrissima Città di Viterbo di Mauro Galeotti, Viterbo, 2002)